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Martedì 14 maggio, ore 2024
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Campo diocesano 2022: Intervento di Michele Tridente

Appunti intervento di Michele Tridente

 

  • Mi è stato chiesto di interrogarci su quelli che sono i nodi a livello di vita associativa che caratterizzano questo tempo di “ripartenza”. Ne ho individuati anzitutto quattro.

 

  • Comprendere il tempo in cui viviamo: un tempo di transizione
  • Per l’Azione cattolica passare all’altra riva non può essere semplicemente il trasferimento fisico, da una riva all’altra, ma è una trasformazione che significa sentirsi insieme inviati ad annunciare il Vangelo, ancora oggi è per tutti.
  • «il Signore è con noi, dorme a poppa ma è con noi, si fida di noi, si fida della nostra capacità di immaginare il futuro, di darci da fare, di impegnarci per affrontare tutti insieme questa traversata, andando oltre le paure del tempo».
  • L’importante sarà passare all’altra riva ma senza mai perderci gli «attraversamenti»: non metterci in cammino e pensare solo alla meta!

 

  • L’esperienza del cammino sinodale: valorizzare l’AC palestra di sinodalità
  • Il sinodo è un cammino, non va’ ridotto solo ad un evento, e ciò significa fuggire dalla tentazione di sedersi, di fermarsi, orientandosi – piuttosto – in modo permanente alla missione, con la “postura del pellegrino”, inviati ad annunciare un Vangelo che è per tutti. L’immagine che evoca alla mia mente questa riflessione è quella del pellegrino con lo “zaino” in spalla, sempre pronto e proteso nella dinamica del movimento costante così ben sintetizzata in quell’ “si alzò e andò in fretta” che Maria ha vissuto in tutta la sua pienezza.
  • Negli Orientamenti triennali, guardando al cammino sinodale che è appena all’inizio, abbiamo individuato nell’ascolto, nella ricerca e nella proposta i cardini del metodo per i passi da compiere, consapevoli che, prima ancora che assumere decisioni o riformare le strutture, “fare sinodo è camminare insieme dietro al Signore e verso la gente, sotto la guida dello Spirito Santo”.
  • La scelta della corresponsabilità tra preti e laici può essere un peculiare contributo dell’AC al percorso sinodale. Infatti, ritrovarsi come Chiesa sinodale in cammino può rappresentare un’occasione buona, per alimentare e rafforzare esperienze di amicizia, accompagnamento reciproco e corresponsabilità ecclesiale tra laici e presbiteri: il protagonismo laicale non deve diventare rivendicazione di spazi né confusione delle responsabilità, ma piuttosto desiderio di condividere il peso dello “zaino” sostenendosi nella fraternità e in secondo luogo capacità di accogliere le domande per ricercare insieme le risposte alla vita delle donne e degli uomini del nostro tempo.
  • Ma allora come metterci in cammino? Come AC, raccogliendo l’invito di Papa Francesco ad essere “palestra di sinodalità”, ci stiamo chiedendo, ormai da tempo, come poter essere al servizio delle nostre comunità nel vivere questo cammino sinodale. Il valore alto di questo tempo per la Chiesa tutta (e all’interno di essa della vita associativa) sarà da valutare proprio a partire dalla sua capacità di essere un percorso a misura di tutti.
  • Siamo consci che anzitutto si tratta di individuare spazi di ascolto piuttosto che di ricerca di soluzioni rapide alle problematiche pastorali o di un ricettario di idee, calato dall’alto, e pronto all’uso. L’associazione intende promuovere un ascolto e un coinvolgimento profondo – capace cioè di cogliere ed accogliere le storie, le ferite, le speranze, le domande, le proposte e le risorse di tutti – e, allo stesso tempo, ampio perché in grado di raggiungere tutti, evitando la “costruzione” di confini fisici e immateriali, figli dell’indifferenza e della chiusura. Ecco perché, è necessario vivere questo tempo non come evento che coinvolge esclusivamente gli addetti ai lavori, ma come percorso, volutamente lungo, che possa essere occasione per “liberare” gli spazi di partecipazione ecclesiale dalla chiusura, dall’autoreferenzialità e dal “si è fatto sempre così”. La popolarità è la lunghezza d’onda su cui registrare questo percorso: non è un’esperienza per pochi, per i bravi o solo per chi già c’è, ma per tutti.
  • L’ascolto sarà tanto più efficace se sapremo vivere questo tempo come occasione di conversione: la riforma delle prassi pastorali potrà essere effettiva solo se accompagnata da una conversione dei cuori. La disponibilità all’ascolto necessita di fare un lavoro su sè stessi, sia come persone che come realtà di laici associati: per ascoltare occorre imparare a muoverci verso gli altri, liberandoci da protezioni e formalismi, accettando obiezioni e critiche, non nascondendo le nostre debolezze. Perché proprio nella nostra debolezza si manifesta la forza che ci dona il Signore.
  • Oltre la dimensione dello “spazio” che ogni percorso sinodale è chiamato per sua natura, ad estendere, vi è la dimensione del “tempo”, di questo nostro particolare tempo. La pandemia ha certamente evidenziato e accelerato, portandoli a galla, le fragilità, i nodi, le trame di fondo, le fatiche e i cambiamenti della vita ecclesiale e sociale.
  • Siamo consapevoli che per noi vivere il cammino sinodale significa valorizzare la nostra laicità, antidoto rispetto al peccato del clericalismo che spesso può essere un rischio che colpisce anche noi laici: la tentazione cioè di pensare che “la promozione del laicato – davanti a tante necessità ecclesiali – passi per un maggiore coinvolgimento dei laici nelle “cose dei preti”, nella clericalizzazione”. Proprio il clericalismo rischia di rafforzare l’idea di una Chiesa ripiegata sul passato e proiettata esclusivamente verso sé stessa. Invece l’Ac vuole essere sempre più impegnata nella costruzione di alleanze buone con altre realtà ecclesiali, con realtà istituzionali e del terzo settore.

 

 

  • La responsabilità associativa come fedeltà alle persone che incontriamo.
  • Va ripensata l’idea di responsabilità non come una serie di cose (faticose) da fare, ma come fedeltà alle persone che incontriamo. In primo luogo siamo chiamati a essere responsabili, ovvero capaci di risposta, per le persone che incontriamo quotidianamente, dentro e fuori l’Ac: compagni di università e colleghi di lavoro. Perché il nostro servizio è quello di essere compagni di viaggio più che organizzatori di eventi, compagni di viaggio delle persone come fratelli e sorelle al di là degli incarichi o della tessera di Ac.
  • E per essere responsabili, ovvero capaci di rispondere alle persone che incontriamo, ci è chiesto di essere prima di tutto testimoni, animati da quella passione sincera che vince ogni forma di indifferenza, desiderosi di cogliere il Bene che abita in ciascuna delle persone che possiamo incontrare, dentro e fuori le parrocchie.
  • E la testimonianza, nostra prima responsabilità, sarà tanto più credibile quanto più sarà umile e generosa.
  • Umile, perché la responsabilità è bella se vissuta nella semplicità, la testimonianza è credibile se lascia trasparire la forza del suo messaggio e non la bravura di chi lo trasmette. Possiamo e vogliamo essere responsabili con l’umiltà di chi è cosciente di non saperne di più rispetto a chi non si impegna. Quanto è bello vedere e vivere che la responsabilità non distanzia, ma avvicina le persone. E questo è il bello dell’Ac, il bello di un servizio libero in cui non ci è chiesto di dimostrare che ce lo siamo meritato, ma di rendere visibile a tutti che per quanto imperfetti non siamo fuori dall’amore di Dio e non siamo fuori dall’Ac. Altrimenti saremo consumati e inariditi dalla ricerca della perfezione, invece di essere rigenerati dal nostro impegno.
  • Generosa: perché come responsabili associativi saremo testimoni credibili se paradossalmente man mano che aumenteranno gli impegni, il nostro desiderio di impegnarci crescerà e non si svuoterà. Essere vice e segretari ci auguriamo che possa dilatare e rallentare il nostro tempo, per renderci più generosi ogni giorno, come un esercizio continuo alla gratuità, perché la responsabilità è un allenamento alla felicità e non all’incastro degli impegni. E essere generosi, essere gioiosi testimoni ci renderà capaci di capire le persone che incontriamo senza giudicare mai, cercando di comprendere e di farci prossimi al di là dell’apparente divisione tra buoni e cattivi. E così il nostro servizio non si esaurisce con l’incarico associativo, ma con generosità si dirama dall’incarico fino ad abitare lo sguardo di ogni persona che incontreremo in questi tre anni.
  • L’educazione alla cittadinanza e alla passione politica

 

  • Educare alla cittadinanza significa educare alla necessità della politica (quella con la P maiuscola) e credere che la preoccupazione politica, cioè l’interesse appassionato e fattivo per la vita e le sorti della polis non sono un optional per un cristiano, anzi “per i fedeli laici è un’espressione qualificata ed esigente dell’impegno cristiano al servizio degli altri” (DSC, 565).  C’è grande urgenza di “pensare politicamente da credenti”, come diceva Lazzati, che significa oggi per noi impegnarsi nel costruire insieme agli altri un pensiero politico sulle questioni che scuotono il nostro tempo e di fronte alle quali non possiamo restare indifferenti. Eccola dunque, la grande sfida, l’impegno, l’intimo dovere che sentiamo nostro come giovani di Ac: formare cittadini consapevoli e coraggiosi! Consapevoli che non si può essere cristiani senza avere a cuore concretamente la vita delle nostre città e dei nostri territori, senza interessarsi alle questioni della grande politica internazionale e nazionale come di quelle del quartiere e della città; coraggiosi nello sporcarsi le mani, nel darsi da fare, nel non tirarsi indietro di fronte alle piccole e grandi richieste di impegno.
  • Vogliamo essere cittadini che maturano l’impegno a custodire e costruire la città: uno sguardo contemplativo sulla città ci potrebbe portare a scoprire che Dio è presente anche lì, come ci ricorda Papa Francesco: “Dio vive nella città, e la Chiesa vive nelle città, per un motivo molto semplice, perché crediamo che Dio è presente nel cuore di ciascuno”. Anzitutto la città è un luogo da conoscere, nella sua complessità e nella sua interezza, dedicando a questa conoscenza le nostre migliori energie e competenze. La realtà è complessa e mal si presta a facili semplificazioni: vivere la città da cristiani significa anche imparare a entrare nel profondo delle questioni, senza facilonerie e populismi, senza interpretazioni veloci e chiacchiere da bar. Potremo conoscere davvero, se sapremo essere curiosi, appassionati, studiosi, competenti: se sapremo allargare il cuore e amare. La città, che altro non è se non coloro che la abitano.
  • Amare la città significa poi pensarla e costruirla: l’amore vero è concreto, è fatto di operosità e non di sterile sentimentalismo. Costruire la città significa imparare a parlare dei problemi veri e cercare strade possibili per risolverli. E la città del futuro non potrà che essere sostenibile. Ma lo sarà solo se i nostri stili di vita saranno improntati alla sostenibilità, riscoprendo la bellezza della sobrietà e della semplicità. Uno stile di vita sostenibile è anzitutto uno stile di vita sobrio. É uno stile da rieducare, non da improvvisare, che si tramuta in scelte concrete e quotidiane. È nelle mani di ciascuno di noi, e non c’è problema che sia troppo grande, per i quale non possiamo fare niente. Pensiamo, solo per fare un esempio, all’impatto che possono avere sul sistema economico le scelte di consumo o di risparmio di milioni di cittadini.
  • Per cercare di capire in che modo e secondo quali criteri operare su questo piano possiamo rifarci all’intreccio di indicazioni che emergono da Evangelii gaudium e Laudato si’. Non è un caso né un’incoerenza se Papa Francesco indica con chiarezza due priorità, individuate come le «due questioni fondamentali in questo momento della storia», tali, cioè, da determinare «il futuro dell’umanità». «in primo luogo, [l’]inclusione dei poveri e, inoltre, [la] pace e del dialogo sociale» (EG 185). Mi sembra che ci voglia dire che nella prospettiva di una «politica con la maiuscola» l’inclusione dei poveri e la costruzione della pace rappresentano due priorità in senso quasi letterale, poiché vengono prima delle altre questioni, costituiscono la precondizione per la soluzione di ogni altro problema.
  • È fondamentale favorire un dialogo ampio con tutte le forze politiche e sociali, rifuggendo gli approcci ideologici, per provare a trovare un equilibrio tra rispetto dell’ambiente e giustizia sociale, valori che non sempre sembrano andare di pari passo. Un vero approccio ecologico è sempre sociale, ovvero capace di “integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri” (LS 49)”. L’enciclica Laudato Si assume la prospettiva dell’ecologia integrale che è un vero e proprio paradigma che mette in primo piano la relazione tra le singole parti e con il tutto. L’ecologia integrale tiene insieme, nella logica del “tutto è connesso”, la dimensione economica, ambientale, il rapporto con il proprio corpo e le dinamiche sociali e istituzionali.
  • Il tema della sostenibilità tocca inevitabilmente le questioni economiche e sociali, non solo quelle ambientali. La crisi finanziaria, ad esempio, ha manifestato la non sostenibilità di un sistema economico in cui la finanza ha un ruolo predominante rispetto all’economia reale. In Europa le disuguaglianze tra aree differenti nello stesso Paese, tra paesi diversi, tra classi sociali e tra generazioni, hanno messo in crisi la sostenibilità dei sistemi di welfare e conseguentemente la tenuta della pace sociale. Anche la nostra vita quotidiana rischia di essere non più sostenibile: si pensi alla velocità delle nostre giornate, alla continua spersonalizzazione delle nostre città come alle difficoltà relazionali pur in una società sempre più interconnessa, alla solitudine degli anziani e alla difficoltà delle comunità di creare reti di sostegno per i più fragili.
  • Un’ecologia integrale che vuole promuovere una nuova economia si pone l’obiettivo ambizioso di sradicare le cause strutturali della povertà. Per una reale “inclusione sociale dei poveri” è necessario realizzare una democrazia sostanziale in cui anche i più poveri siano messi nelle condizioni di partecipare alla vita politica e rinnovare radicalmente le strutture sociali e politiche per garantire un’uguaglianza sostanziale e redistribuire le opportunità a favore dei più svantaggiati. In tal senso, occorre un welfare che non è solo assistenziale, ma che valorizzi le persone in difficoltà rendendole protagoniste del loro “riscatto”, il dialogo con i territori e le esperienze e competenze dei corpi intermedi, del vasto mondo del volontariato e del terzo settore.
  • Nella prospettiva dell’ecologia integrale assume grande importanza il tema del diritto all’istruzione. Le disuguaglianze economiche e gli squilibri sociali allo stesso tempo sono causa ed effetto della povertà educativa che spesso è correlata a un accesso diseguale al diritto all’istruzione. È ineludibile, dunque, un forte investimento sull’educazione, intesa in senso lato, dalla scuola ai servizi rivolti ai minori. Perché contrastare la povertà nella fascia più giovane della popolazione significa offrire concretamente a tutti i bambini e gli adolescenti, a prescindere dal reddito dei genitori, uguali opportunità educative. Sulla necessità di garantire tale diritto, come comunità ecclesiali e come realtà associative occorre vigilare e fare pressione politica positiva.

Per concludere …

  • Durante i mesi più duri della pandemia abbiamo avuto paura di non farcela, che i legami e l’associazione si sfilacciasse, non sempre abbiamo avuto fede nel Signore che “dorme a poppa”. Oggi possiamo dire che noi siamo qui, perché come scriviamo negli orientamenti per il triennio 2021-2024, crediamo che l’AC sia ancora oggi “spendibile” nella Chiesa e nella società come realtà concreta di persone che imparano sempre più a “volersi bene”, a prendersi cura reciprocamente del bene di ciascuno e di quello di “noi-tutti”, a riconoscere la presenza del Signore in ognuno e, soprattutto, nei più poveri e negli ultimi. Per questo continuiamo a comunicare l’associazione come luogo in cui si intrecciano formazione, testimonianza e servizio in un’esperienza spirituale e comunitaria bella e possibile, popolare e accogliente per tutti e per ciascuno, senza barriere di età o condizione di vita, in cui si impara a spendersi per la missione della Chiesa.
Clicca qui per scaricare la relazione di inizio campo



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