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Giovedì 12 dicembre, ore 2024
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UNA GIORNATA DI PROGRAMMAZIONE

La presidenza diocesana si è riunita lo scorso sabato 22 agosto per vivere una giornata di programmazione ma anche di condivisione, di confronto e preghiera.
(In allegato la meditazione alle Lodi dell’assistente unitario don Gianni Fiorentino). Il nuovo anno associativo pone al centro il verbo servire: servire le coscienze, i legami, la chiesa e il territorio.

L’invito della Presidenza nazionale in questo anno, certamente segnato dal cambiamento, è quello di “incoraggiare tutti gli aderenti a non attardarsi a fare l’inventario di ‘quello che non si può fare’, ma a concentrarsi piuttosto su ‘tutto quello che c’è da fare’, e che ci viene proposto dalla vita delle persone, dei territori e delle comunità”, per vivere e sperimentare più creatività, più generosità e passione associativa.
Tra l’altro, abbiamo già provato a vivere gli appuntamenti tipici del cammino associativo in modalità nuove e sperimentali, come per il recente camposcuola diocesano.
Certo, ci auguriamo il meglio per i mesi a seguire, ma ci tocca rinnovare o esplorare nuove modalità di incontro e formazione.
E la Presidenza diocesana si è concentrata su questi punti per rendere concrete le linee programmatiche del 2020/2021, per accompagnare tutti gli aderenti, consapevoli delle istanze di questo momento storico e anche delle potenzialità che possono derivarne.
Le tante esperienze e attività che la grande famiglia dell’Ac si presterà a vivere saranno come di consueto presentate durante l’assemblea di inizio anno, il cui appuntamento sarà presto reso noto con informazioni dettagliate.

Ecco a voi la meditazione alle Lodi dell’assistente unitario don Gianni Fiorentino

Io gioisco pienamente nel Signore,
la mia anima esulta nel mio Dio,
perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza,
mi ha avvolto con il mantello della giustizia,
come uno sposo si mette il diadema
e come una sposa si adorna di gioielli         (Is 61,10)

Questo piccolo brano è collocato nella terza parte del libro del Profeta Isaia (capp. 55-66): dopo la gioia del ritorno in patria (avvenuta nel 538 ad opera di Ciro), il popolo dovette affrontare la fatica della ricostruzione personale e sociale, simbolizzata nella ricostruzione del tempio.
Da questo punto di vista si tratta di un brano che ci interpella molto, intenti come siamo ancora oggi a realizzare una ricostruzione spirituale, umana, sociale, religiosa…dalla tragedia dell’epidemia.
Il brano – c’è da notare – non mette in evidenza la promessa della restaurazione, ma il suo annunzio.
La restaurazione, infatti, è possibile solo se il popolo crede in essa!
Bisogna perciò che sia annunciata, proclamata da una “voce” consapevole dell’agire di Dio e della sua presenza umile, ma potente nella storia.
Il testo elabora, perciò, il ruolo del profeta, dell’annunciatore, della Comunità cristiana: quello di consolare, di annunciare la liberazione. Soprattutto ai poveri, agli oppressi, agli esiliati.
Anche in questo caso vedo delineato nel testo di Isaia il compito che in questo particolare momento storico ci attende tutti, come Chiesa e come Associazione. Nella consapevolezza comune che soltanto Dio può ricreare un popolo disperso e scoraggiato, aprendo orizzonti di speranza.

Io gioisco pienamente nel Signore…


La possibilità di annunciare l’intervento di Dio, riempie il profeta di gioia, nonostante la drammaticità della situazione in cui vive. Per questo esulta come se il cambiamento si fosse già realizzato.
Proponendoci questo brano nella memoria della Vergine Maria Regina, la liturgia ci invita a rispondere all’annuncio di Dio con le sue stesse parole, quelle contenute nel Magnificat:

L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore.

Per noi di Ac, contemplare Maria in questa sua alta professione di fede, significa non lasciare che ella rimanga una semplice devozione, e divenga invece un vero e proprio paradigma di riferimento, icona della Chiesa, esempio profondo di profezia, specchio del nostro agire ecclesiale ed associativo.
Per questo motivo, Hans Urs von Balthasar, il più grande teologo del secolo scorso, al principio petrino, associava, come fondamentale nella vita della Chiesa, quello che lui definiva il «principio mariano».
Maria, come il profeta, prende la parola a nome di Gerusalemme e pone sulle labbra della città e dell’umanità intera il canto della sposa.
Assumere seriamente il principio mariano, vuol dire allora entrare nella dimensione nuziale della fede, abbandonarsi alla logica dell’amore e fare la scelta del primato della profezia. Non nel senso esibizionista o miracolistico, ma come servizio alla Parola, comunicata a tutti con semplicità e simpatia.
«Servizio»: parola con cui dobbiamo iniziare a familiarizzare, come associazione!
«Umile» e «serva»: così si percepisce Maria dinanzi a Dio!
Non dimentichiamoci che se la chiamiamo «Regina» è proprio perché è «serva», «la Serva del Signore».

E noi? Noi come ci percepiamo, come ci presentiamo?
Sentiamo il servizio come il nostro vero potere? Come è stato per Gesù, che è venuto non a farsi servire, ma a servire? (cfr. Gv 13, la lavanda dei piedi).
L’umiltà di Maria scaturisce dall’aver fatto chiarezza in sé, dall’aver accettato con gioia il suo vuoto per farsi riempire da Dio. Noi diciamo «piena di grazia», ma potremmo anche dire «vuota di sé».
Quando Papa Francesco, con una espressione essenziale e folgorante, prova a descrivere il tempo in cui viviamo, dice provocatoriamente: «È l’ansia di dominare ciò che ci circonda».
È difficile che possiamo vivere la dimensione del «servizio» e del «dare la vita», se ci lasciamo guidare nelle scelte da questa terribile sete di dominio.
Un’ansia e una sete che speso si esprimono anche nei nostri piani pastorali.

Nell’omelia della Pentecoste 2013, il Papa scrive:
«Si può pensare che l’evangelizzazione dobbiamo programmarla a tavolino, pensando alle strategie, facendo piani. Ma questi sono strumenti, piccoli strumenti. L’importante è Gesù, farsi guidare da Gesù. Poi possiamo fare le strategie, ma questo è secondario».

Ecco ciò che occorre! Occorre crescere nella fede e nell’ascolto della Parola di Dio!
Solo così il resto si metterà in movimento in modo sorprendente.
Solo questo ci potrà far essere «all’altezza del cuore di ogni uomo, all’ascolto del cuore del mondo» (cf. Convegno educatori Acr 2015), perché – nella logica del servizio – ci permetterà di incrociare la vita delle persone del nostro tempo.
Incrociare la vita, porsi in ascolto dell’esistenza di ciascuno, evitando che i nostri programmi prescindano dalla vita reale e dura delle persone.

Su questo punto, mi piace concludere con un passaggio splendido dell’Evangelii gaudium:

«Volgiamo fare nostra «la sfida di scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio. In questo modo, le maggiori possibilità di comunicazione si tradurranno in maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti. Se potessimo seguire questa strada, sarebbe una cosa tanto buona, tanto risanatrice, tanto liberatrice, tanto generatrice di speranza! Uscire da se stessi per unirsi agli altri fa bene. Chiudersi in sé stessi significa assaggiare l’amaro veleno dell’immanenza, e l’umanità avrà la peggio in ogni scelta egoistica che facciamo». (Eg 87)




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