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Mercoledì 01 maggio, ore 2024
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Don Benedetto Fiorentino, guida spirituale e maestro di laicità cristiana

È stato guida spirituale dell’Azione Cattolica diocesana in anni importanti di cambiamento.

Don Benedetto Fiorentino ci ha lasciati, pochi giorni prima della canonizzazione di Papa Paolo VI, il “suo” Papa, il Papa della sua formazione di cristiano e di sacerdote, il Papa del Concilio Vaticano II. Sì, perché il Concilio è stata la stella polare del suo ministero e del suo servizio, anche all’Azione Cattolica diocesana.

Sacerdote di profonda spiritualità e innamorato della povertà (connaturata al suo essere sacerdote, mai ostentata), persona di raffinata cultura, perciò apertissima al dialogo con tutti, è stato assistente unitario diocesano dell’AC per sette anni (1984-91) assai impegnativi per l’associazione diocesana. Forse non tutti ricordano che il cammino di unificazione diocesana dell’AC, dalle quattro preesistenti associazioni cittadine (corrispondenti alle quattro diocesi unificate nella persona del Vescovo), ha inizio con la nomina degli assistenti diocesani. E don Benedetto fu nominato dal Vescovo don Tonino Bello primo assistente unitario diocesano il 1 novembre 1984, due anni prima del Decreto per la piena unificazione delle diocesi di Molfetta, Giovinazzo, Terlizzi e Ruvo, promulgato dalla Congregazione per i Vescovi il 30 settembre 1986, e circa cinque anni prima della costituzione dell’unica Associazione diocesana sancita con l’Assemblea nel febbraio 1989. Oggi a distanza di molti anni possiamo dire che don Tonino aveva visto giusto anche con quella nomina. Lo storico presidente dell’ACI Vittorio Bachelet, nel pieno della riforma conciliare, raccomandava che bisognava “rinnovare l’AC per attuare il Concilio”. Nella nostra Diocesi, per portare a compimento la riforma conciliare, con l’attuazione del primo veropiano pastorale diocesano, era necessaria la ristrutturazione diocesana dell’AC, partendo dal servizio di animazione dei sacerdoti assistenti. Don Benedetto arrivò all’AC con questo mandato: intensificare il processo di spiritualità e di formazione laicale su cui si sarebbe più facilmente innestato il lavoro unitario organizzativo.

Ero presidente diocesano di Molfetta nel 1984, quando don Benedetto cominciò il suo servizio nell’AC diocesana, e con lui avviammo ilcammino che ci avrebbe poi portati ad unificare i programmi associativi delle quattro associazioni cittadine fino al compimento della struttura diocesana, come oggi la conosciamo. Non si trattò di una semplice operazione burocratica e organizzativa, ma di un vero processo riformatore. Di questo don Benedetto ne fu pienamente consapevole, insieme ai responsabili laici dell’epoca. Il suo servizio sacerdotale puntò, come sempre, alla profondità delle relazioni interpersonali. Fu instancabile nell’incontro con i laici delle associazioni di AC nella ferialità delle realtà parrocchiali della diocesi. Qualcuno ha scritto in questi giorni dell’ostinazione come uno dei tratti distintivi della personalità di don Benedetto. È vero, lui era così. Ai responsabili dei centri diocesani (presidenze, i consigli) ricordava, quasi ossessivamente, la priorità della spiritualità e della formazione rispetto all’organizzazione. Pensieri mai scontati, mai “banali”, quelli di don Benedetto. Ostinazione e pazienza. Tenacianell’impegno (se non ci si vedeva per più di una settimana, era sempre il primo a chiamare telefonicamente), pazienza per le lentezze di molti (inimitabile il suo sorriso di comprensione). Solidità di cultura teologica, non staccata da una innata passione per l’antropologia, la sociologia, la pedagogia. Tutto questo lo ha riversato con generosità nell’Azione Cattolica, nella direzione dell’Ufficio catechistico e nella parrocchia. Le questioni dell’attualità sociale e politica gli erano sempre presenti. Ricordo ancora quando una decina di anni fa, circa venti anni dopo il nostro comune impegno nell’AC diocesana, organizzò nella sua parrocchia della Concattedrale di Giovinazzo, un ciclo di incontri su tematiche di stretta attualità e chiamò me a tenere un incontro sulle implicazioni del progresso scientifico e tecnologicoe sul rapporto fede/scienza. Quando mi chiamò per propormi questo tema io gli dissi più o meno così: “Sei coraggioso! In una piccola comunità tu inviti la gente a parlare di queste cose?”. La sua disarmante risposta fu: “Perché no?” Una sera di inverno andai nella sua parrocchia e con una ventina di persone affrontammo questioni che non avrei mai pensato di approfondire con un gruppo parrocchiale, normalmente impegnato in altre attività più pastorali. Ritrovai quel sorriso inimitabile per la bella serata trascorsa a discutere di cose importanti, ma soprattutto la grande capacità di discernimento di un sacerdote, quale il nostro don Benedetto era, di spiritualità forte e di cultura profonda.

Cosimo Altomare

 




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