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Il cambiamento demografico dell’Italia

Versione stampabileVersione stampabile I nonni superano i nipoti, mentre i matrimoni, dagli anni Settanta ad oggi, si sono dimezzati passando da 400mila a 200mila. Sono questi alcuni dati essenziali che emergono dalla ricerca sulla demografia in Italia dal titolo “Il cambiamento demografico. Rapporto-proposta sul futuro dell’Italia” (Laterza, Bari-Roma 2011), curato dal Comitato per il Progetto culturale della Cei. Caratteristica demografica determinante? L’invecchiamento costante della popolazione del nostro Paese.
Secondo gli studiosi che hanno curato la ricerca, «il grande fenomeno che fa da sfondo al panorama del cambiamento demografico nell’Italia del XXI secolo» resta quello dell’invecchiamento della popolazione: «La transizione dal sorpasso (già realizzato) tra nonni e nipoti a quello (in un futuro non così lontano) tra bisnonni e pronipoti». Un aspetto che «suscita molto allarme» per la tenuta del sistema di welfare, la salvaguardia del sistema produttivo e «la capacità di garantire una pacifica convivenza sociale».
Nel definire «selettive e frammentate» le misure fino ad oggi adottate in Italia per sostenere la natalità, il Rapporto afferma che «la misura più significativa in tal senso» è «l’equità fiscale», intesa come «modalità strutturale di trattamento equo della famiglia sotto il profilo del reddito effettivamente spendibile dai suoi membri». Di qui la proposta di adottare il “quoziente familiare”, oppure il “fattore famiglia” con la determinazione di una «no tax area». Si devono inoltre «potenziare i servizi di qualità per la primissima infanzia», in particolare i nidi, e valorizzare il ruolo dei consultori. Ma occorre soprattutto «un piano nazionale per la famiglia» con «carattere sussidiario», oltre ad «una strategia dinamica e di lunga durata che la collochi al centro della società» come «una dimensione di tutte le politiche sociali, economiche, educative». Una sorta di “family mainstreaming”, per il quale gli autori della ricerca invitano inoltre a conciliare famiglia e lavoro e a elaborare adeguate politiche abitative.
Gli autori della ricerca ritengono che, nonostante la diffusa concezione antropologica nella quale si privilegia «un’idea individualistica della persona umana» e «relega nell’ambito del privato tutto ciò che appartiene agli affetti, alla sessualità, alla filiazione e alla famiglia», dietro «alle grandi trasformazioni demografiche» ci sia «una vera grande protagonista: la famiglia» nella quale «si concretizza il risultato dei comportamenti riproduttivi della popolazione italiana». Proprio «nelle difficoltà familiari» trova «normalmente ragione il divario» di cui il rapporto dà conto «tra la fecondità voluta  – gli oltre due figli che le madri vorrebbero – e quella di fatto realizzata, i circa 1,3-1,4 figli per donna».
Quanto al «rallentamento dei processi di formazione di nuove coppie – dagli oltre 400 mila matrimoni degli anni Settanta agli attuali poco più di 200 mila», esso «va di pari passo» con il «diffuso prolungamento della permanenza dei giovani adulti nella casa dei genitori», l’innalzamento «oltre i 30 anni dell’età media al primo matrimonio, sino al rinvio delle scelte procreative sempre più verso la soglia dei 40 anni».
Nello studio si spiega poi, come da molti anni, in Italia, nascono meno di 600 mila bambini l’anno (561.944 nel 2010, secondo l’Istat, dato in progressivo calo dagli anni Settanta quando toccava i 900 mila), 150 mila in meno di quanto sarebbe necessario «solo per garantire» nel tempo «l’attuale dimensione demografica», mentre la fecondità «si è attestata attorno alla media di 1,4 figli per donna».
Il Rapporto-proposta curato dal Progetto culturale della Cei alla cui guida è il cardinale Camillo Ruini, individua due ordini di fattori capaci d’influire sull’andamento delle nascite. Il primo, spiega lo stesso Ruini nella prefazione al volume, «è costituito dagli interventi pubblici, cioè da una serie organica di provvedimenti di lungo periodo rivolti non a premere sulle coppie perché mettano al mondo dei figli che non desiderano, bensì semplicemente ad eliminare le difficoltà sociali ed economiche che ostacolano la realizzazione dell’obiettivo di avere i figli che esse vorrebbero. Giustificare una politica di questo genere è abbastanza facile: i figli, o le nuove generazioni, sono una necessità essenziale per il corpo sociale e quindi rappresentano un bene pubblico, e non soltanto un bene privato dei loro genitori». Il secondo ordine di fattori si colloca «a un livello più profondo, quello delle mentalità, degli insiemi di rappresentazioni e sentimenti, in altre parole dei vissuti personali e familiari e della cultura sociale, che influiscono potentemente sui comportamenti demografici». Tra questi due ordini di fattori, sottolinea il cardinale, «il secondo appare quello maggiormente decisivo per le scelte concrete delle coppie, ma anche il primo è necessario, perché senza di esso il desiderio di procreare spesso non si traduce in comportamenti conseguenti. I due ordini di fattori sono quindi interdipendenti e non vanno separati l’uno dall’altro».

 




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