Omelia di don Gianni al funerale

Da uomo intelligente e acuto e soprattutto da medico preparato e attento, dal momento in cui ha appreso la notizia della sua terribile malattia, Enzo ha – direi così – cominciato a «preparare la valigia» per l’ultimo grande viaggio della vita. 

 

Conosceva il vangelo e sapeva bene che il giorno preciso di questa ultima misteriosa partenza questa volta non avrebbe potuto fissarlo lui; avrebbe dovuto accettarlo e accoglierlo dalle mani di Dio, di quel Dio che aveva imparato ad amare da fanciullo e che poi avrebbe avuto l’onore di servire da adulto.

 

Beato quel servo che al suo ritorno (il ritorno del padrone) troverà così sveglio, cioè pronto.

 

Pronto con la valigia in mano, sull’uscio di casa, per partire e realizzare finalmente l’incontro con Lui.

Voi mi direte: «Ma di quale valigia parli? Se c’è un viaggio per il quale non serve portare nulla con sé, questo è proprio quello che inizia con la morte».

È vero! Quando arriva quel momento non puoi portare nulla di pesante con te: né ricchezze, né titoli onorifici, né raccomandazioni di sorta, né sogni di gloria o deliri di onnipotenza. Cose tutte che alla dogana del Cielo non possonopassare. 

Ma in questa «valigia speciale» si può mettere altro. E in quella valigia, nella valigia che Enzo ha preparato con cura insieme con i suoi cari – con Maria, Emanuele, Fedele e il gruppo dei parenti e degli amici più intimi  ho potuto scorgere tante cose, leggerecome piume, lievi come ali di farfalla e pregnanti di significaticome acini d’uva gonfi e pronti per la vendemmia.

 

Ho intravisto anzitutto un quaderno di appunti, sgualcito come un vecchio libro di ricette da cucina, ma custodito gelosamente in una teca preziosa. Era quello che portava sempre con sé, nascosto tra le pieghe della sua anima inquieta e che al momento opportuno tirava fuori per attingere da esso la forza per affrontare i tratti impervi del suo cammino.

Ho avuto l’onore di tanto in tanto di sfogliare questo quaderno sgualcito e di imbattermi nella lettura di qualche sua pagina e mi sono trovato dinanzi a nomi importanti, nomi di amici, nomi di profeti, nomi di testimoni, nomi che diventavano storie luminose come stelle.

Subito dopo i nomi sacri dei suoi genitori, ho trovato quello di un suo educatore illuminato, don Saverio Bavaro, una guida impareggiabile, un prete vero che con il suo stile aperto e con la sua vita impregnata di vangelo ha saputo indirizzare i suoi passi di giovane in ricerca verso un cristianesimo incarnato nella storia e nella geografia del mondo.

Sono gli anni belli ed entusiasmanti del liceo e dell’università in cui comincia a formarsi in lui una personalità poliedrica, che non si accontenta di ridurre la vita cristiana a un elenco di precetti e di tradizioni o ad un culto fine a se stesso, ma lo spinge a tradurre in prassi i sogni che quel prete generoso e colto gli aveva acceso nel cuore con le sue parole brucianti e con la sua vita povera.

 

Giungono gli anni della maturità, gli anni dell’amore e del matrimonio con la sua amatissima Maria; quelli della professione a tempo pieno vissuti con straordinaria abnegazione; gli anni segnati dalla gioia della nascita dei suoi due figli, Emanuele e Fedele.

È a questo punto che un altro nome compare su questo suo diario personale, scritto a lettere cubitali come a voler segnare l’inizio di un nuovo capitolo del libro della sua vita, il nome di don Tonino.

 

L’incontro con questo Vescovo così diverso e originale rispetto a tutti quelli che aveva conosciuto prima non gli fa avere più dubbi: la presenza nella sua Comunità parrocchiale deve farsi più intensa e propositiva. Non è più solo il cristiano della Messa domenicale, quello che sporadicamente svolge qualche servizio. Comincia a farsi strada nel suo cuore, incalzato dall’ideale evangelico di un’Associazione che sentiva sempre più a misura dei suoi progetti, l’Azione Cattolica, l’impegno per un laicato tutto teso alla costruzione del Bene Comune, all’edificazione della Città.

Sono gli anni della maturità e quindi quelli della sintesi culturale, spirituale, dell’impegno sociale e politico, in cui comincia a familiarizzare con il pensiero di giganti come Paolo VI, Giorgio La Pira, Vittorio Bachelet, Lorenzo Milani, Primo Mazzolari; ed Enzo comprende in una luce nuova il compito che l’attende come fedele laico innamorato di Cristo, del Vangelo, della Chiesa e del mondo: «illuminare e ordinare tutte le cose temporali» (LG), spendendosi in esse con competenza, generosità e rettitudine.

È così che fa il medico nell’ospedale, il padre in famiglia, l’educatore in parrocchia, l’amico nella relazione con tutti.

 

E finalmente matura la consapevolezza, grazie alla statura umana e spirituale di un altro grande profeta dei nostri giorni, papa Francesco - nome anch’esso scritto in grassetto nei suoi appuntisgualciti - che il cammino verso un’identità di Chiesa estroversa può essere realizzato soltanto all’interno di un processo di collaborazione, dialogo, sinergia di tutte le forze associative presenti nel territorio. Perché da soli, come singoli e come associazione, non si va da nessuna parte.

E diventa promotore della nascita di un organismo che raccoglie le energie ecclesiali più belle, più motivate e più aperte del territorio,l’Osservatorio, che in linea con il progetto della “Chiesa in uscita” di Papa Francesco, si spende sine modo e da protagonista, per la legalità e la difesa del Bene comune, e rendere così più pulito e bello il volto della Città. 

E tutto questo sapendo di potersi trovare anche in situazioni complesse, dove spesso non è possibile distinguere semplicemente tra bianco e nero, tra bene male in senso assoluto.

Per questo progetto ambizioso ma esaltante, Enzo dà tutta la sua anima, perché negli anni del suo impegno associativo in parrocchia, in città e in Diocesi una cosa ha imparato e compreso bene: il vero punto di forza della Chiesa e quindi anche dell’AC è proprio quello di formare le persone alla passione per il Bene comune, al valore della competenza, alla responsabilità verso i propri talenti, alla gioia della gratuità. Con lo scopo principale di formare anzitutto cittadini critici, consapevoli e appassionati.

Per questo riusciva con una naturalezza e una spontaneità a stare con i giovani, a parlare con loro come con amici e a motivarli all’impegno, alla pace, alla giustizia, alla solidarietà nei vari ambiti della vita.

 

È riuscito a fare tutto questo sempre in modo impeccabile? Senza mai sbagliare, senza mai inciampare?

Certo che no! Se fosse così ora a presiedere questa celebrazione dovrebbe esserci il Papa in persona per una canonizzazione rapida, più rapida di quella prevista per Giovanni Paolo II.

È solo che vogliamo che sia il Signore a giudicare le nostre imperfezioni. 

Penso che questo convenga a tutti!

Posso dire con voce forte, però, – questo sì  che il suo cuore e le sue intenzioni sono stati sempre puri e retti! Calzanti per Enzo possono essere a riguardo le parole di Papa Francesco presenti nell’EG: 

«Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli».

 

Ma ritorno ai tanti oggetti che ho sbirciato nella sua valigia. Tra questi ricordo le foto di tutti quelli che ha incontrato, conosciuto e amato; e poi ancora ci sono la bandiera della pace e quella della sua Azione Cattolica, la croce di don Tonino, lo striscione dell’Osservatorio, il testo di una canzone di De Andrè, Il Pescatore, e poi ancora l’olio e le bende per fasciare le ferite che la vita gli ha procurato e provocato; e in un angolo, riposte con massima cura, due splendide icone, quella della Madonna del Carmelo e quella della Madonna di Corsignano, dinanzi alle quali tante volte ha pianto come un bambino in cerca di consolazione, di perdono, di carezze, di amore.

 

Tutte questi ricordi, Enzo ora li porta in Paradiso, perché in Cielo è bandita ogni forma di apatia e pigrizia; perché in Dio il tempo si chiama eternità, pienezza di amore, felicità allo stato puro, gioia infinita e si vive finalmente di abbracci, carezze, dove il segno x, faticosamente seminato nei solchi dei giorni terreni è la cifra divina di tutte le relazioni in cielo e la sigla di tutte le benedizioni che discendono sul nostro male di vivere, sulle nostre tenerezze negate, sulle nostre solitudini patite.

 

Caro Enzo,

ti dedichiamo questo pensiero di Manuel Scorza, scrittore peruviano, che in una sua poesia scrive: «Basta che un uomo solo sogni, perché un’intera razza odori di farfalle. Basta che solo un uomo sussurri d’aver visto l’arcobaleno di notte, perché perfino il fango abbia gli occhi rilucenti».

Tu sei stato per noi come l’uomo dei sogni di cui parla questo scrittore, come «la sentinella del mattino»

di cui ci ha tante volte parlato don Tonino.

 

Ora vogliamo salutarti facendo risuonare nel cuore un detto della sapienza popolare che dice così:

Quando un bambino nasce, piange, ma tutti attorno ridono. 

Quando un uomo muore, tutti piangono, ma lui ride.

Sì, noi piangiamo perché perderti ci strazia il cuore, perché è dura andare avanti senza di te, senza la tua umanità, la tua sapienza, la tua forza, la tua grinta e la tua profezia.

Ma sapere, nella fede, che stai nascendo in Dio - perché morire, ci ha assicurato Gesù, è come un secondo parto -, e sapere soprattutto che sei in compagnia della più grande e della più belladi tutte le madri, Maria santissima, ci fa stare più sereni.

Dal cielo, insieme con Angelo, don Mimmo, don Gino, Guglielmo e don Tonino, continua a pregare per noi, che ne abbiamo tanto bisogno, e noi continueremo a pregare per te.




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