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- Relazione Finale delle Presidente al Campo Diocesano 2017 -

La Parrocchia,

Chiesa che FA CASA CON L’uomo

1. Introduzione «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5). Forte di questa promessa che le viene dalla Parola, impegnata secondo l’invito di Papa Francesco a «rimanere con Gesù», «andare per le strade», «gioire ed esultare sempre nel Signore», l’Azione Cattolica oggi sceglie di continuare a camminare, guardando con audacia, gioia e creatività i segni di speranza e di fiducia che si manifestano nel cammino dei bambini, dei ragazzi, dei giovani, degli adulti, e in quello della Chiesa e dell’Italia. (documento finale XVI Assemblea Nazionale di Azione Cattolica)
Questa è l’introduzione che mi sollecita a guardare alla Parrocchia con uno sguardo nuovo, diverso, gioioso e creativo.
E’ un tema, quello della parrocchia, della missione, della laicità, che mi sta molto a cuore. Perché, come cristiana, sono nata e cresciuta in parrocchia. Ho quindi una familiarità molto lunga con la parrocchia, una delle dimensioni di Chiesa più comune a tutti, più naturale, più semplice, ma allo stesso tempo non facile da comprendere oggi. Alla parrocchia ho dedicato molto tempo, molte energie e molta riflessione.
Il titolo dato a questo campo fa riferimento ad un’espressione che si trova nelle prime righe della lettera alla parrocchia di don Primo Mazzolari, un grande parroco che ha accompagnato il suo servizio pastorale con una continua riflessione sulla parrocchia, sulla dimensione parrocchiale della vita pastorale più comune e quotidiana che oggi grazie a Papa Francesco è riabilitato totalmente.
Nelle prime righe della lettera sulla parrocchia, don Mazzolari dice: “Dalla parrocchia la Chiesa fa casa con l’uomo”, dove l’espressione ‘fa casa’ anche nel linguaggio comune è un’espressione che viene utilizzata in riferimento alla famiglia, se pensiamo alla casa subito pensiamo alla famiglia. E ‘far casa insieme’ è l’espressione che dice una familiarità, una consuetudine, un’intimità: la parrocchia, dunque, si configura come il luogo di familiarità, di intimità, di consuetudine di Dio con l’uomo. La parrocchia diventa il luogo in cui è più forte questo diventare famigliare di Dio con l’uomo, nella dimensione della Chiesa.
In questa prospettiva della missione, la parrocchia mette in evidenza l’aspetto della vicinanza: la missione che passa attraverso la parrocchia, attraverso questo far casa di Dio con l’uomo nella sua vita di ogni giorno è la missione che ha il carattere della vicinanza, della vita quotidiana, degli affetti. La missione passa anche attraverso tutte quelle dimensioni che, come in una casa, sono quelle dell’affetto, dell’effusione, della condivisione, della consuetudine.
Riprendo la frase di Papa Francesco del 30 aprile scorso a San Pietro “Vi invito a portare avanti la vostra esperienza apostolica radicati in parrocchia, «che non è una struttura caduca» – avete capito bene? La parrocchia non è una struttura caduca! -, perché «è presenza ecclesiale nel territorio, ambito dell’ascolto della Parola, della crescita della vita cristiana, del dialogo, dell’annuncio, della carità generosa, dell’adorazione e della celebrazione» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 28).
Perché parlare di parrocchia?
Veniamo da un tempo molto recente in cui – forse – qualche dubbio che la parrocchia fosse finita l’abbiamo sentito. Forse abbiamo sentito l’obiezione che la parrocchia poteva essere una struttura pastorale adatta a tempi non di missione, non di evangelizzazione e che per l’evangelizzazione fossero più efficaci scelte pastorali diverse.
Perché la parrocchia è la Chiesa di tutti. La parrocchia è la Chiesa in cui si coglie e si vive la dimensione di popolo, dell’essere Chiesa. È la dimensione della Chiesa che ci è data come DONO. Non scegliamo di essere Chiesa in un modo, in un altro, in un altro ancora. Lì la Chiesa ci viene offerta come un dono senza che abbiamo scelto noi la parrocchia, il parroco, le scelte pastorali, i compagni di viaggio nel nostro vivere la fede. Lì troviamo i compagni di viaggio più diversi: il bambino, l’anziano, l’adulto, la persona colta, quella semplice, quella che ha una spiritualità biblica o ecumenica o quella della carità. Lì insieme si fa Chiesa, popolo, in una dimensione in cui l’universalità e quindi l’accogliersi l’un l’altro si fa dono non ci si sceglie.
La parrocchia è l’esperienza di Chiesa che è radicata sull’essenziale della vita cristiana, cioè su tutto ciò che precede le scelte particolari di spiritualità. Qui si vive quello che è di tutti nella sua dimensione di semplicità massima: la Parola, l’eucaristia, la vita sacramentale, la comunione. Vivendo di queste dimensioni, la parrocchia dice che per la comunità cristiana questo è l’indispensabile e dice anche che queste esperienze sono condizione necessaria e sufficiente per vivere da santi.
La parrocchia è radicata nel territorio, cioè è radicata in un contesto umano concreto, preciso: una cultura, una terra, una sensibilità, dei problemi che sono le provocazioni per la comunità cristiana e la coscienza cristiana in un determinato contesto. Proprio perché è radicata nel territorio, a meno che non scelga malauguratamente di chiudersi attorno all’ombra del campanile, cioè Chiesa che non può non fare i conti con la realtà concreta della vita umana e quindi con la storicità, la parzialità e l’originalità di una cultura locale.
I giornali parrocchiali sono degli strumenti molto semplici che servono a fare famiglia, non servono a dare visibilità alla parrocchia. Ma c’è una visibilità che può essere del tutto spirituale, è quella legata principalmente all’eucaristia della domenica.
La sfida di noi cristiani è quella di fare in modo che proprio l’eucaristia della domenica, vissuta al di là di ogni ritualismo, nella sua semplicità di celebrazione del mistero, di raccolta di una comunità nella varietà delle sue espressioni intorno al mistero della salvezza del Signore, del dono che il Signore ci fa della Sua vita, possa essere il momento in cui una comunità fa vedere anche il suo carattere.
Sappiamo che oggi in parrocchia ci sono molti gruppi legati magari a scelte ecclesiologiche o pastorali particolari. Ci sono delle obiettive difficoltà che stanno mutando il modo di essere parrocchia perché stanno mutando il modo di essere comunità umana sui territori. Penso, ad esempio, a come la parrocchia sia provocata dal contesto demografico e socio-culturale, dal tempo dedicato al lavoro e alle altre attività che riempiono la giornata dei bimbi, dei giovani e degli adulti, dalla solitudine umana, che si vive anche all’interno della famiglia.
Io credo però che questi elementi non mettano in discussione la validità delle parrocchia. Sono piuttosto delle provocazioni per la coscienza cristiana e per gli operatori della pastorale, per ognuno di noi che vivono con più presenza i luoghi parrocchiali.
Il primo compito della parrocchia è la missione. La parrocchia delle grandi iniziative difficilmente può essere missionaria perché caratteristica della parrocchia è la vicinanza alle persone e le grandi iniziative non giocano sulla vicinanza alle persone; giocano piuttosto su altri elementi organizzativi che non passano per la strada delle relazioni.
La parrocchia certamente può essere missionaria, a patto che accetti che la sua missione passa per la via della vicinanza, del contagio, del vivere gli uni accanto agli altri del guardarsi nel volto e riconoscersi, entrare in empatia con l’altro. Ma questo richiede alla parrocchia di ripensarsi e di fare una revisione molto radicale e coraggiosa di certi modelli di vita parrocchiale che in passato sono stati grandi, che hanno formato tante personalità di cristiani e di santi, ma che corrispondono ad una cultura e ad una organizzazione della società che oggi non c’è più.
Io penso che bisogna comunque, vigilare sulla tentazione di un ammodernamento della parrocchia e che bisogna avere il coraggio di un suo profondo rinnovamento. non facendo diventare la parrocchia autoreferenziale.
il Papa ci ha detto nell’incontro per i 150 anni dell’AC:” La parrocchia è lo spazio in cui le persone possono sentirsi accolte così come sono, e possono essere accompagnate attraverso percorsi di maturazione umana e spirituale a crescere nella fede e nell’amore per il creato e per i fratelli. Questo è vero però solo se la parrocchia non si chiude in sé stessa, se anche l’Azione Cattolica che vive in parrocchia non si chiude in sé stessa, ma aiuta la parrocchia perché rimanga «in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi» (ibid.). Per favore, questo no!”
La parrocchia oggi tende a vivere in modo troppo accentrato e tende all’uniformità della parrocchia, del suo modo di agire, delle presenze che accoglie al proprio interno.
Noi dobbiamo promuovere una parrocchia, di differenziazione, di articolazione al proprio interno di capacità diverse. Credo  inoltre che si possa dire che la comunione non può temere le differenze, sennò non è comunione, è un’altra cosa. La parrocchia deve avere il senso del valore delle differenze che sono le differenze tra le persone, tra le vocazioni è una differenza basata su un fatto carismatico. Non è centrata sulla divisione dei compiti che è la caratteristica delle aziende, ma è fondata sulla valorizzazione dei doni.
La parrocchia per essere missionaria ha bisogno di soggettività, di corresponsabilità, di un modo complessivo di pensare la pastorale e non della frammentazione della pastorale nelle sue specializzazioni.
In parrocchia dobbiamo saper percorrere la via del cuore. La via del cuore è la via di una pastorale che assume come criterio primo quello del sapersi mettere in gioco come persone in una relazione di accoglienza, di affetto, di vicinanza, di simpatia di misericordia. Gli occhi vedono quello che c’è, il cuore invece è colpito dalle assenze e noi dobbiamo accorgerci di chi non c’è, non è presente non solo di chi c’è.
Il nostro ruolo di laici all’interno della parrocchia deve essere valorizzato, non semplicemente come collaboratori o come operatori dentro la comunità parrocchiale, ma come persone che portano una vocazione e che possono contribuire alla parrocchia missionaria se sono maturi nella loro vocazione, se sono richiesti e messi in grado di spendere la maturità della loro vocazione che è la vocazione di essere di Dio dentro le condizioni ordinarie della vita del mondo: nella famiglia, nel lavoro, nella politica, nella cultura, nella scuola.
La parrocchia deve saper valorizzare l’azione dei laici, non tanto semplicemente quando fanno qualcosa in parrocchia, ma quando fanno i genitori in casa loro, i professionisti nel loro ufficio e deve far sentire loro che loro sono Chiesa in quel momento lì, che sono la voce della loro comunità, che nel loro vivere il Vangelo danno voce alla comunità mettono in atto il tesoro della fede che hanno acquisito.
Papa Francesco il  30 aprile ci ha detto: “È nella vocazione tipicamente laicale a una santità vissuta nel quotidiano che potete trovare la forza e il coraggio per vivere la fede rimanendo lì dove siete, facendo dell’accoglienza e del dialogo lo stile con cui farvi prossimi gli uni agli altri, sperimentando la bellezza di una responsabilità condivisa. Non stancatevi di percorrere le strade attraverso le quali è possibile far crescere lo stile di un’autentica sinodalità, un modo di essere Popolo di Dio in cui ciascuno può contribuire a una lettura attenta, meditata, orante dei segni dei tempi, per comprendere e vivere la volontà di Dio, certi che l’azione dello Spirito Santo opera e fa nuove ogni giorno tutte le cose”.
Bisogna accettare una missione che forse non farà mai delle iniziative clamorose, ma che è in grado però di passare attraverso la vita delle persone, di avere questa dimensione di profondità, di essenzialità, di libertà, di essere più missionaria, capace di parlare al cuore delle persone.
La via di una parrocchia è la via dei testimoni. Questo significa che la parrocchia deve prendersi cura in maniera molto qualificata dei suoi catechisti, dei suoi animatori, dei suoi educatori, e di ogni  laico cristiani che ha una famiglia, una professione, perchè proprio qui ci si gioca la propria credibilità verificandosi con il proprio credo o fede.
Una parrocchia deve essere molto attenta nella cura degli adulti. Questo non perché gli adulti sono gli educatori alla fede delle nuove generazioni, ma perché oggi la missione, se deve avvenire nei luoghi della vita, ha bisogno anche di quella testimonianza matura di chi, sulle questioni della vita, sa compiere un discernimento che – credo – solo la coscienza adulta può essere in grado di fare. Bisogna avere la maturità di compiere quella mediazione tra il Vangelo e le condizioni concrete della vita che ha bisogno della maturità di chi ha un po’ vissuto, di chi si è un po’ sperimentato su una serie di questioni.
Non dobbiamo solo preoccuparci di fare la catechesi di iniziazione cristiana, e al massimo raggiungere i giovani ma, dobbiamo attraverso i figli raggiungere i genitori che molte volte hanno bisogno di essere rieducati alla fede.
La parrocchia è tanto più vitale se cura le relazioni. Una comunità parrocchiale è una comunità dove le persone sono importanti e che si prende cura, quindi, con delicatezza, con umanità, con fantasia, dei rapporti tra le persone (quelle che stanno in comunità, ma anche quelle che girano intorno, le famiglie con cui si viene a contatto…)
A questo punto lascio qualche domanda. Ad esempio: le nostre strutture pastorali, parrocchiali sono anche strutture in cui i ragazzi incontrano degli educatori?
I nostri luoghi d’incontro sono luoghi dove le persone si sentono accolte?
I nostri stili educativi sono rispettosi delle persone? O qualche volta non rischiano piuttosto di essere freddi?
I nostri incontri di formazione assomigliano di più ad una lezione scolastica che ad un incontro dove le persone possono mettersi in gioco?
I nostri modi di sciogliere i conflitti non sono qualche volta arroganti, autoritari e quindi violenti?
Credo ci dobbiamo interrogarci sulla presenza – nella vita della comunità e nelle sue iniziative – di educatori (non animatori) veri.
Ci sono adulti capaci di attenzioni alle persone, capaci di maturità, di dialogo, di accompagnamento, di confronto, capaci di comprendere che si vive in un mondo che cambia e che i modelli educativi di 50 anni fa non possono essere i modelli educativi che pongono in relazione con i ragazzi di oggi e che gli stessi fanno piuttosto interrompere la relazione?
Il Papa richiamando Don Primo Mazzolari nella sua visita ai luoghi che furono di Don Milani e Don Primo, per farci comprendere come la chiesa deve vivere,  dice:” Anche lui pensava a una Chiesa in uscita, quando meditava per i sacerdoti con queste parole: «Per camminare bisogna uscire di casa e di Chiesa, se il popolo di Dio non ci viene più; e occuparsi e preoccuparsi anche di quei bisogni che, pur non essendo spirituali, sono bisogni umani e, come possono perdere l’uomo, lo possono anche salvare. Il cristiano si è staccato dall’uomo, e il nostro parlare non può essere capito se prima non lo introduciamo per questa via, che pare la più lontana ed è la più sicura. […] Per fare molto, bisogna amare molto». … ”
C’è bisogno che le comunità parrocchiali non diventino la collezione di egocentrismi che non consentono di crescere in vista di quella corresponsabilità che permette alle persone di venir fuori come soggetti e non tanto come collaboratori. E qui si collabora anche, certamente, ma si collabora come chi fa qualcosa di più che collaborare: si esercita nel rispetto una propria soggettività, una propria vocazione.
In questa prospettiva di maturità umana occorre imparare a tener conto che il mondo di oggi è cambiato. In questo mondo cambiato, le persone hanno bisogno di sentirsi apprezzate, stimate.
In questo progetto di parrocchia ci sta l’Azione Cattolica e Mons. Galantino ci dice alla XVI Assemblea Nazionale :” sento di dire per tutti noi dell’Ac, che anima la Chiesa italiana e il nostro paese fin nelle più piccole e lontane contrade è: apritevi agli altri, costruite alleanze educative, sappiate  costruire amicizie forti che sfidano il tempo. …
La testimonianza dell’Ac per il mondo è nell’avere il sapore e l’odore delle quotidiane sfide dell’esistenza; quelle che riguardano l’amore dell’uomo e della donna, la generazione dei figli, la cura dell’educazione dei giovani e della dignità dei vecchi, la coltivazione della saggezza e il discernimento della bellezza, la verità dei sentimenti, la giustizia delle emozioni, la protezione delle fragilità, il senso del lavoro, la capacità di morire, la misura delle parole, la difesa quotidiana della speranza. In ognuna di queste comuni e quotidiane sfide umane la testimonianza dell’Ac può certamente portare la sua luce. Quella di cui oggi il nostro mondo – abitato da troppi grigi replicanti – ha bisogno.”
Il Segretario generale della CEI dice ancora:”Nel Vangelo di oggi (Mt 11,25-30), quel «Prendete su di voi il mio giogo» vuol dire, caricare le nostre vite e le nostre relazioni di amore. Un amore che “genera, cura, conforta e da ristoro”. Un amore che spinge a compiere scelte inedite come inedito è il Vangelo e inedita è la vita di Gesù. Solo se radicate in questo amore le nostre comunità   saranno capaci di fare nuove tutte le cose; attraverso la bellezza di “legami autentici”, di relazioni umanamente significative in una società “segnata da particolarismi, da lobby di potere, da un’economia che ogni giorno di più produce scarti”.  E prosegue:  oggi c’è tanto bisogno di luoghi in cui si intessono  trame di vita associativa forte, significativa, bella. C’è bisogno di “case accoglienti, luoghi di rigenerazione, anticipazione di futuro”.
Questa è la nostra PARROCCHIA in cui la CHIESA SI FA CASA CON L’UOMO.

 

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