Quando interrogarsi, confrontarsi e “studiarsi” costituiscono la partenza: il campo diocesano dell’Azione Cattolica su alterità e identità

FOTO_VESCOVO_L’esortazione apostolica Evangelii Gaudium del Santo Padre Francesco, e in particolar modo il capitolo IV “Il bene comune e la pace sociale”, già presi in analisi durante l’ultimo convegno nazionale delle presidenze di Azione Cattolica, è stata il punto di partenza per la riflessione e l’approfondimento proposti ai partecipanti al recente campo diocesano unitario di Azione Cattolica svoltosi a Benevento presso il Centro “La Pace”. Tre giorni (8-10 luglio) in cui lasciarsi interrogare su “Alterità e identità allo specchio. Questioni aperte, potenzialità, prospettive”, così come sollecitato dal tema scelto per il camposcuola.
Ad aprire i lavori e a fornire i primi spunti è stata la lectio condotta dall’assistente unitario don Michele Bernardi – “È nella ricerca del volto che costruiamo la nostra capacità di comunicare e relazionarci. (…) È il volto dell’altro che accende in noi il sentimento. Soprattutto, il nostro primo modo di cercare è lo sguardo. – che ha incentrato la sua riflessione sull’attenzione all’altro nella sua specificità, differenza e irripetibilità, nella conversione del “nemico”, lo “straniero” (hostes, secondo l’etimologia latina) in “ospite” (hospes) con cui sperimentare in maniera tangibile la fraternità, l’accoglienza, l’empatia.
Mons. Domenico Cornacchia è intervenuto l’indomani, soffermando la sua attenzione proprio sull’esortazione apostolica: la sua riflessione (“Il dialogo con le culture ‘altre’ alla luce dell’Evangelii Gaudium”) ha ribadito la dimensione sociale dell’evangelizzazione, che esprime nell’apostolato la concretezza della nostra fede. Secondo il Vescovo oggi bisognerebbe rieducarsi al discernimento, rimettere al centro il valore del tempo come dimensione fondamentale per vivere una giusta progettualità, la giusta equidistanza dalle cose senza l’assillo dell’onnipresenza che talvolta attanaglia il nostro agire, specie nelle realtà parrocchiali. È necessario lasciarsi contaminare dagli altri, essere attenti soprattutto verso chi è assente, perché l’alterità esige di riconoscere nell’altro ciò che manca alla mia identità per potermi completare.
“L’identità plurale: il complesso rapporto tra l’io e l’altro” è stato oggetto della riflessione della tavola rotonda introdotta e moderata dalla presidente diocesana Angela Paparella che ha visto l’intervento di tre invitati speciali: Silvia Rizzello, giornalista e scrittrice, autrice del libro ‘Riso fuori sede’ in cui si racconta un amalgama di umanità diverse dietro i fornelli nella Bari dei primi anni ’90; il giornalista e scrittore Gianni di Santo, esperto di tematiche associative e anche di musica; il docente di filosofia e consigliere comunale del partito della Rifondazione Comunista Gianni Porta. A loro è stato chiesto di raccontare le personali esperienze di incontro con l’alterità alla luce delle proprie scelte di vita, riflettendo anche sulla contaminazione che ogni incontro determina, talvolta assieme a diffidenze, pregiudizi, stereotipi. L’apertura all’altro secondo la Rizzello è anzitutto un’attitudine personale, ma diventa una necessità nelle situazioni quali il trasferimento in altre nazioni. Tutto ciò comporta una transizione, un cambiamento che considera l’altro l’espressione di un punto di vista diverso da cui partire per crearne uno nuovo, possibilmente insieme. Oggi non ci si può più chiedere se la contaminazione faccia bene o male, sostiene Gianni Porta, ma sarebbe più utile chiedersi perché la contaminazione appaia come un contagio. Eppure contaminare deriva dal verbo tàg-mino, mettere a contatto elementi eterogenei, insozzare… ma talvolta il tutto è vissuto con timore, specie se si è fragili, perché comporta un limite per le proprie libertà individuali. Oggi, nell’epoca in cui i social media hanno accorciato temi e spazi e la rete rende tutto più veloce e contemporaneo, non è più possibile vivere la contaminazione con paura; piuttosto viviamo in un eterno presente in cui non c’è più un’autorità a mediare tra il piano dei valori ‘alti’ (quelli della fede) e i valori delle singole persone. Il discorso dell’alterità diventa quasi provocatorio in un contesto in cui i rapporti tra gli individui sono di uno a uno e tutto scorre in un eterno presente. Gianni di Santo, a sua volta, ha ricordato come il futuro, ossia il kronos, sia frutto delle nostre scelte personali, mentre il nostro avvenire, il kairos, dipenda sia dalla volontà altrui che da una volontà ‘alta’. A questo si aggiunge il tempo di Dio, l’aion. A questi tre tempi biblici oggi si possono affiancare tre tempi laici: il tempo della lentezza, per recuperare l’essere a scapito del fare; il tempo del cammino, per permettere l’incontro del corpo con lo spirito; il tempo del dono, non più semplice gratuità, ma restituzione alla comunità dei talenti che ci sono stati dati e che servono a costruire il bene comune.
I laboratori di approfondimento del pomeriggio, introdotti da attività musicali, ludiche e visive, hanno permesso ai partecipanti di interrogarsi in maniera propositiva sul concetto dell’alterità nell’ambito di tre contesti di vita: nella famiglia, nella società/nel mondo, nelle relazioni quotidiane.
L’ultima parte del campo, da prassi, è servita per riflettere maggiormente sull’andamento dell’anno associativo appena concluso, con le sue fragilità ma anche con tanti punti di forza, per poi puntare particolare attenzione al percorso assembleare, che verrà celebrato nella prima parte del prossimo anno associativo, fornendo spunti concreti, mutuati dallo Statuto nazionale e dall’Atto normativo diocesano, per la strutturazione dello stesso nell’ambito parrocchiale dove verranno svolte le assemblee elettive.
Non sono mancati i momenti di convivialità, di gioco, di allegria e di festa per vivere appieno la comunione delle alterità dove concretamente si sperimenta come “il tutto è più della parte, ed è anche più della loro semplice somma. (…) Bisogna sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti noi.” [EG, n.235].

Antonella Lucanie




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