#cresceredigitali: conoscere abitare evangelizzare

#cresceredigitali: conoscere abitare evangelizzareÈ questo il titolo del seminario di studio dell’Acr svoltosi a Firenze il 13 e il 14 febbraio scorsi.

Crescere: un verbo che racchiude tutta l’essenza di un seminario, luogo di approfondimento e di esercizio in cui mettere in discussione le proprie idee, aprirsi all’esperienza della crisi delle convinzioni per provare a capire qualcosa in più su argomenti spesso trattati superficialmente, a mettersi in discussione e a superare spesso anche molti pre-giudizi, grazie alle sollecitazioni degli interventi dei relatori. Un verbo in cui rientrano in primis i ragazzi, i veri protagonisti della proposta educativa dell’Acr; ma un verbo che interpella direttamente anche noi educatori, soprattutto oggi, nell’epoca della contemporaneità mediale, in cui è fondamentale recuperare e sfruttare, per il ruolo a cui siamo chiamati, un canale di contatto con i ragazzi sempre più presente nella vita di tutti i giorni: il mezzo digitale.

Tre sono i passaggi che hanno scandito questa tappa e che ci hanno permesso di sviscerare il tema in maniera metodica, quasi scientifica: conoscere, abitare, evangelizzare.

CONOSCERE… cosa sono i media

Spesso siamo portati ad identificare i media come dei semplici strumenti che utilizziamo, pròtesi che potenziano i nostri sensi, psicotecnologie che modificano i nostri cervelli e le nostre percezioni, o ambienti in cui fare esperienza e stabilire contatti. Altre volte tendiamo a soggettivizzarli immaginandoli come dispositivi separati dall’uomo che creano un nuovo contesto esistenziale… sembrano quasi entità vive e autonome.

Ma se ci fermiamo a riflettere per un attimo possiamo facilmente capire quanto in realtà i media siano proiezioni dell’essere umano e siano plasmati dall’uomo a seconda delle sue necessità, a partire dal profilo bello e attraente, che rappresenta la nostra identità sul web, per arrivare al desiderio di soddisfazione e appagamento che regola gli stati facebook, inutili monologhi se non ci fosse nessuno pronto a darci la sua approvazione con un like.

L’umanità mediale è una umanità a distanza, che cioè non è più limitata da confini. Questo può offrire un grande vantaggio in termini di sviluppo e prossimità ma significa anche meno stabilità, un coinvolgimento in maniera disordinata di tutti gli ambienti della vita, una riduzione degli spazi dell’individuo che si proietta in luoghi frequentati da altri rischiando l’omologazione. È quindi una umanità più diluita e interdipendente, in cui ciascuno è vincolato alle azioni degli altri.

L’uomo non è oggetto, ma soggetto creatore al centro di questo macrocosmo, parte di una società digitale completamente estroflessa, che si espone completamente verso l’esterno, oltrepassando spesso il confine tra pubblico e privato reso poroso e sottile dai media.

Qual è quindi il ruolo di noi adulti in un luogo che espone a tanti rischi quanti sono i vantaggi che offre?

La risposta non è proteggere i più piccoli con divieti e negazioni, ma è piuttosto educarli all’uso dei media per sviluppare in loro autocontrollo (capire quando è il momento di fermarsi), prudenza, coraggio, temperanza e carità, non lasciandoli mai soli.

Essendo potenti mezzi di comunicazione, i media possono diventare anche potenti mezzi di educazione, in cui occorre però mantenere la simmetria del rapporto adulto-ragazzo che molto spesso su queste piattaforme multimediali viene meno, trasformandosi in scambio orizzontale. Non va dimenticata poi la credibilità che siamo chiamati a dimostrare davanti ai piccoli, unico strumento che abbiamo per essere considerati e ascoltati su mezzi in cui spesso veniamo additati come estranei.

ABITARE… la rete 

La rete è un luogo abitabile, proprio perché è possibile intessere relazioni al suo interno. Ma come è possibile farlo?

Abitare significa prima di tutto essere consapevoli della dimensione strutturale del luogo in cui si risiede e poi sapersene prendere cura.

Le relazioni in rete hanno delle caratteristiche ben precise. Sono di natura individualistica e io-centrate; mancano cioè i cosiddetti corpi intermedi come la famiglia o la classe se non nella modalità di connessione tra nodi individuali e separati tra loro. Privilegiano legami deboli (dovuti a interessi, passioni, hobby e professione) piuttosto che legami forti (famiglia), a meno che non siano legami fra pari, con conseguente povertà di profondità e difficoltà nell’affermare una posizione di autorità. Si basano sul principio della visibilità reciproca, che può portare al vantaggio di una maggiore riflessività prima dell’azione. Favoriscono l’omofilia, rendendo più facile instaurare un rapporto solo con chi ci somiglia.

Uno dei modi più semplici per entrare in relazione in rete è conversare passando del tempo insieme.

Le conversazioni sono legate ai ritmi frenetici del gruppo e spesso hanno la precedenza su ciò che stiamo realmente facendo perché non si può perdere l’attimo in cui inviare la propria risposta. Sono finalizzate per lo più al piacere di stare insieme e perciò sono brillanti e leggere. Sono tendenzialmente paritarie perché regolate da turni di parola. Sono personali ma non intime e artificiose anche se normate per apparire spontanee e naturali. Risultano inoltre inclusive, cioè accomodanti al limite del conformismo.

In tale contesto, in grado di esercitare dei condizionamenti sui nostri comportamenti online, “abitare” la rete significa dunque mantenere vivi alcuni tratti non riducibili: la cura delle relazioni, lo stile dell’interazione, il tono della conversazione che contribuiscono a costituire Internet come un luogo più o meno “umano”.

EVANGELIZZARE… gettando le reti

Ci chiediamo allora come sia possibile oggi connettere un mondo in continua trasformazione con Gesù e col messaggio evangelico che invece rimane sempre lo stesso… a maggior ragione se siamo chiamati a misurarci con la dimensione digitale.

Tutto si gioca sulla qualità delle nostre relazioni e sull’affidabilità della parola di speranza che siamo chiamati a portare.

La nostra parola, così come lo è quella di Gesù, non deve essere mai neutra, mai distratta, mai astratta e soprattutto non sia solo parola ma venga accompagnata da gesti concreti di testimonianza.

Gesù chiede ad ognuno di noi di entrare nel profondo prendendo il largo, abbandonando la riva delle nostre certezze per poter gettare le reti, cioè evangelizzare insieme. Questo ci fa capire che non siamo mai soli nel nostro ruolo educativo e nella consapevolezza di avere la responsabilità, incredibile e allo stesso tempo tremenda, della custodia nelle nostre mani delle vite che ci sono state affidate; è questo il “di più” della comunione che qualifica l’esperienza della Chiesa e in essa dell’AC.

Non va inoltre dimenticata la grammatica della nostra fede che fa della relazione tra persone e non tra individualità il suo punto di forza. Una relazione che va ben oltre l’idea che noi abbiamo dell’altro e che ci stupisce giorno dopo giorno.

Educare quindi significa fermarsi, in mezzo a tanta frenesia, per recuperare la categoria del volto dei piccoli, abitare la loro vita e imparare l’arte difficilissima di gettare i nostri occhi nei loro occhi, elevando questo sguardo verso l’alto. Occorre in sostanza andare verso di loro, verso le loro esperienze di vita e innamorarsi della ricchezza che ciascun ragazzo porta con sé e di cui dobbiamo sempre essere grati.

In una sola parola vuol dire amare.

Vincenzo Amato

  

    
    
    
    
    
   




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