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Riflessione dell’Assistente

don Pietro Rubini

  

Liturgia di apertura

Opera “don Grittani, 19 febbario 2005


1. Gesù Cristo, vero fondamento del rinnovamento

 

Carissimi aderenti all’AC e fratelli nella fede,

 

nel corso di quest’ultimo triennio l’Azione Cattolica, con impegno e determinazione, ha raggiunto il traguardo del rinnovamento associativo che vede i suoi primi frutti nell’approvazione dello Statuto Nazionale, nell’aggiornamento del Progetto Formativo e nella elaborazione dell’Atto Normativo Diocesano. È stato un tempo nel quale, da parte del Santo Padre, della Conferenza Episcopale Italiana e del nostro Vescovo non sono mancate le attestazioni di stima e, insieme, la proposta di suggerimenti, stimoli ed indicazioni perché «l’Azione Cattolica continui a essere una preziosa esperienza di cui la Chiesa – e ogni Chiesa particolare – non possono fare a meno»[1]. La risposta a tale e tanta fiducia si è subito concretizzata in un rilancio della proposta formativa che condivide l’ansia missionaria della Chiesa di far giungere il messaggio evangelico nella cultura laicista contemporanea dove si assiste tra la gente ad una fuga in difesa con i conseguenti individualismi sul piano personale e particolarismi sul piano sociale. Anzi, proprio il ritrovarsi spaesati e disorientati in un mondo neo-pagano di cui non si riesce a decifrare il linguaggio e il riconoscersi realtà minoritaria all’interno di una società pluralista potrebbe stimolare la nostra associazione ad un più audace impegno che ha il suo unico punto di forza non nella consistenza numerica, nel successo e nel potere, ma nella risurrezione di Gesù Cristo, centro vivo della fede e cuore della nostra proposta formativa [2] e nella conseguente inversione di tendenza che trova il leit-motiv nella Sua stessa Parola: «gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Ancora una volta è la scelta di Cristo che qualifica e rinnova il nostro tempo, il nostro cuore e la nostra azione. È Lui la sola ragione per tutto quello che facciamo e siamo. Non si è in Azione Cattolica perché non si ha niente da fare, ma perché la nostra vita e il nostro tempo sono stati segnati dall’incontro decisivo con Cristo.

 

2. Con uno sguardo di fiducia verso il passato

 

Gesù Cristo, dunque! Egli è stato anche la ragione sufficiente della vita di tanti laici che si sono avvicendati nella lunga storia dell’Azione Cattolica Diocesana e ai quali bisogna guardare come ad una preziosa eredità del passato che – secondo l’affermazione del Santo Padre – può suscitare anche in quest’alba del terzo millennio, nuovi frutti di santità [3]. Essi, pur non essendo più tra noi, continuano a rappresentare un preciso e solido punto di riferimento. Con il loro stile e la loro coerenza ci hanno insegnato che per orientarsi nella vita sono sufficienti poche idee chiare di fondo, tali però da divenire luce, bussola, guida in ogni situazione, direzione verso cui indirizzare il cammino. Sono i semplici ma tenaci aderenti che abbiamo avuto la possibilità di incontrare, conoscere, stimare e dai quali abbiamo appreso il gusto vero della vita, la capacità di apprezzamento delle cose, il senso gioioso dell’essenziale, la chiarezza interiore che rimane anche nelle vicende più buie, la pace del cuore come certezza di essere sostenuti e portati dall’amore di Dio… Persone che hanno avuto il dono di comunicarci l’esperienza della bellezza del Vangelo con il loro semplice “esserci”. Laici che ci hanno procurato un esempio di santità impastata di umanità. A rappresentarli tutti sono quattro figure di nostri laici che hanno vissuto con straordinaria normalità il messaggio di Cristo. Di ciascuno ricordiamo le parole essenziali del loro programma di vita:

 

Per Molfetta: Pino Chiarella: Io mi sto sforzando di dimostrare come un cristiano riesce a vivere meglio, con le mie armi più potenti: la verità, l’amore, l’umiltà, l’onestà. Questo, in poche parole, sono io…

 

Per Ruvo: Maria Lovino:  Amare Dio e il prossimo è quello che ogni cristiano dovrebbe fare per tutta la vita.

 

Per Giovinazzo: Massimo Cervone: Il Signore chiama ognuno di noi ad una missione, difficile, temibile, sicuramente controcorrente e quindi non per tutti; a me il Signore ha chiesto la sofferenza, ha chiesto di tribolare per Lui; e credo che questo è sicuramente il modo migliore che io ho per lodarlo.

 

Per Terlizzi: Cristina Castore: Fare di Dio il centro, l’anima della mia vita quotidiana. Non desiderare che Lui solo, amare Lui solo, incondizionatamente, senza limite alcuno [4].

 

3. Avanti con lo sguardo della speranza

 

Potremmo anche noi diventare persone intrise della bellezza del Vangelo? È possibile se ci lasciamo condurre dalla Parola.

 

Chiamati a Sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattia e di infermità. I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea, suo fratello; Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello, Filippo e Bartolomeo, Tommaso e Matteo il pubblicano, Giacomo di Alfeo e Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, che poi lo tradì. Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l’operaio ha diritto al suo nutrimento» (Mt 10, 1-10).

 

3.1 Prima di tutto “chiamati” ad essere discepoli

 

La pagina del Vangelo di Matteo si regge su due verbi: “chiamare – inviare”.

«Chiamati a sé i dodici discepoli». Povero di tutto, Gesù non volle essere privo di compagni i quali, come ci suggerisce l’etimologia della parola, fossero disposti a mangiare il pane con lui, a condividere la fatica e la passione dell’annuncio del Regno. Chi erano? Il Vangelo li ricorda tutti e ne risulta un quadro variegato e perfino contrastante. Un manipolo di giovani un po’ folli, dagli occhi ardenti, inebriati di libertà, sempre più convinti che la felicità è un cammino più che un possesso: è un incontro con la gratuità. E la gratuità era sotto i loro occhi. Era Gesù che si donava a tutti senza porre condizioni, che si inteneriva anche per la sorte di chi era considerato indegno e faceva capire che i più vicini a Dio sono i più piccoli.

Quando Gesù ha chiamato i dodici, non si è preoccupato di costituire un gruppo di persone che già in partenza fossero tra loro amalgamate così da garantire una collaborazione immediata e senza problemi. Si ha piuttosto l’impressione che abbia voluto rischiare mettendo insieme un gruppo eterogeneo contro ogni logica di opportunità. A questi compagni diventati suoi discepoli Gesù affida il suo potere e la sua autorità. «Chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere».

Gesù si fida. È come una scommessa. E poiché i dodici richiamano le dodici tribù di Israele e prefigurano il popolo nuovo voluto da Dio, non possiamo non pensare alla Chiesa e all’interno di essa alla nostra Associazione in cui la storia di ciascuno è un intrecciarsi di santità e di mediocrità, di luminosità e di opacità. Non c’è da meravigliarsi se anche oggi Gesù si mette in mani fragili come le nostre e affida al nostro cuore e alla nostra azione tutto quello che ha ricevuto dal Padre: la sua Parola, il suo Perdono, il Fuoco dell’Amore, le Promesse del Regno, cioè la sua stessa missione.

Occorrerebbe uno spazio di contemplazione per rendersi conto di questa ricchezza. Già la contemplazione! Ricordate? È la prima delle tre consegne di Giovanni Paolo II. «Senza la contemplazione  - sostiene il personalista J. Maritain  - ogni zelo, anche buono, volge verso la rivalità». Quante volte, infatti, accade che si lavora, si corre, si è presi nell’ingranaggio di una missione apparentemente gratificante. Ma si dimenticano le persone; e ancor più grave, si accantona Dio, per provare l’amaro di aver faticato invano. Perciò, prima di ogni cosa, è importante recuperare lo spazio dell’«inutile» nell’esistenza quotidiana: quell’«inutile» esotico agli occhi del mondo, che si chiama silenzio per ritrovare se stessi; si chiama preghiera per incontrare Dio; si chiama interiorità, per sorseggiare l’acqua viva della Sua Parola che incessantemente ci va ripetendo:

«Mi aspetto molto da te.

Per parlare del Regno, voglio servirmi di te.

Per perdonare, mi affiderò alla tua pietà.

Per liberare dalle oppressioni della morte,

ti darò la passione e la forza di guarire e di donare speranza».

 

E c’è un luogo dove possiamo crescere e fortificarci nella fede, lasciandoci amare e riempire dall’amore gratuito, scoprendoci amati da sempre e per sempre, “figli prediletti”. Questo luogo è l’Eucaristia. Essa è il segno più impegnativo di Dio. È il mistero-sacramento del Suo radicamento nella storia, del Suo ingresso nel tempo, del Suo Amore infinito e senza limiti che raggiunge l’uomo dalle misure piccole e limitate. Ma è anche il segno più impegnativo dell’uomo: perché nessun credente può prendere parte a questa mensa e restare come prima, arroccato nel proprio egoismo o a posto in coscienza per aver soddisfatto un dovere. In questo anno speciale sarebbe un dono della Grazia se arrivassimo tutti, dal più grande al più piccolo, a convincerci che la via della missione parte dall’Eucaristia.

 

3.2 Da discepoli ad “inviati speciali” della fede

 

Nell’Eucaristia Gesù chiama e al tempo stesso invia. Inviare è il secondo verbo fondamentale del racconto evangelico. «Chiamati a sé i dodici… Gesù li inviò».

Da discepoli si diventa inviati. Per fare che cosa?  Non c’è da preoccuparsi molto, sembra dire il Signore. Semplice deve essere il messaggio, senza troppi abbellimenti di parole umane. «Predicate che il regno dei cieli è vicino». A che servono dimostrazioni e astuzie dialettiche? L’annuncio non è un teorema da dimostrare ma una buona novella da vivere. Semplice deve essere anche il bagaglio da portare. Esso è dato dal messaggio e dal soffio dello Spirito. In una parola: dalla fede. Gesù si è fidato di noi. Tocca a noi ora collocare tutta la nostra fiducia in Lui. Può essere che la fede sia incerta anche nel cuore di chi dovrebbe annunciare. Non è forse questo il nostro lamento? Ma la fede – ci fa capire Gesù – si inventa, si approfondisce, si consolida nell’atto stesso di condividerla. E se la condivisione è l’altro nome della Comunione,  - seconda consegna del Papa - allora l’Azione Cattolica potrebbe diventare lo specchio esemplare della Chiesa dove i ragazzi, gli adolescenti, i giovani, gli adulti, gli anziani, gli studenti e i lavoratori, gli sposati, i celibi e le nubili, i vedovi e le vedove…, dove le diverse età e le diverse vocazioni, nella comunione delle diversità, possano trovare la passione di dire la propria fede. Chi fa sulla propria pelle l’esperienza inedita di essere graziato e amato gratuitamente, senza meriti né alcuna condizione non può esimersi dall’annunciarla. In termini giornalistici potremmo dire che l’Azione Cattolica vuole essere presente nel mondo di oggi come un’inviata speciale della fede. Perciò i nuovi laici di AC sono quelli che hanno il coraggio di farsi trovare nei luoghi più esposti, dove la storia interroga e inquieta la fede, dove gli uomini – gli adolescenti e i giovani soprattutto - incrociano gli enigmi della vita. E stanno lì, non a fare la parte della suocera, riducendo la fede a moralismo o quella dell’informatore stradale, riducendo la fede a ideologia, bensì a trasmettere un’esperienza inedita e originale di vita e di speranza, verificata di persona, senza copiare dagli altri, ma usando parole proprie; senza “registrare il pezzo” ma dando lo scoop in tempo reale. Come il giornalista–evangelista Giovanni, anche i nuovi laici di AC sentono il dovere di dire agli altri fratelli: «Vi annunciamo quello che abbiamo visto con i nostri occhi, toccato con le nostre mani, udito con i nostri orecchi…» [5]. Secondo Paola Bignardi «viviamo un tempo appassionante per il Vangelo, un tempo non scontato, in cui è necessario essere creativi, fedeli e giovani… e solo un’AC che sa resistere alla tentazione di chiudersi in sagrestia contribuisce alla vita missionaria delle nostre comunità» [6] e – aggiungiamo noi - diventa energia vitale, seme gettato nei solchi, fuoco acceso nei cuori per dischiudere l’avverarsi di un mondo nuovo.

 

 

4. Con lo stile di Maria

 

Chi ha saputo incarnare lo stile della missionarietà è senza dubbio la Vergine Maria. Ella è anche l’immagine esemplare della missionarietà dell’AC. Nell’episodio di Cana di Galilea (Gv 2,1-11) possiamo cogliere tre atteggiamenti missionari.

Il primo consiste nella discreta, umile e vigile attenzione a quanto succede. Maria non è chiusa in se stessa, ma attenta agli altri. Si accorge e previene: «Non hanno vino». Coglie il disagio e ne parla  con Gesù. L’attenzione diventa preghiera. L’AC dallo stile missionario è presente nella Chiesa come una finestra spalancata sui problemi del mondo, attenta a quanto succede, pronta a parlarne con Dio. È un’AC che in questo modo aiuta la Chiesa ad essere “decentrata” ed “occupata” dai bisogni della vita e dai problemi del mondo.

Il secondo atteggiamento è quello della fede. Una fede umile, ma anche sicura e coraggiosa. Anche dopo la risposta di Gesù che pare un rifiuto - «La mia ora non è ancora venuta» - Maria non esita a rivolgersi ai servi come se il Figlio l’avesse ascoltata. L’AC dal volto missionario sa che bisogna avere fede anche quando Dio sembra smentirci.

Il terzo atteggiamento è forse il più importante: «Qualsiasi cosa vi dica fatela». Maria indirizza verso Gesù e il suo compito è di condurre all’obbedienza e all’accoglienza. Il vero discepolo è colui che fa “qualsiasi cosa “ Gesù dica. E condurre a questa docilità è il compito fondamentale di Maria, della Chiesa  e perciò dell’AC missionaria. 

 

5. Nei luoghi della missionarietà

 

Proprio perché l’Azione Cattolica è in se stessa missionaria, questa responsabilità che la caratterizza e la qualifica esige di essere vissuta in ogni ambiente che voi abitate e frequentate, nel quale singolarmente o in forma aggregata, intrecciate le relazioni con le persone che incontrate, con le quali gioite e soffrite, studiate o lavorate, vi divertite e occupate il tempo libero.

 

  1. … in parrocchia

 

L’AC è chiamata a vivere con rinnovato slancio missionario anzitutto dentro la Chiesa e nelle comunità cristiane. Il Vangelo deve risuonare, sempre nuovo e liberante, anche e prima di tutto, nelle nostre parrocchie. Già nella Christifideles laici, il Papa, proprio a voi laici, ricordava l’urgenza e il bisogno di rifare il tessuto cristiano delle nostre stesse comunità cristiane [7]. Purtroppo fino ad oggi anche tra i cristiani i criteri di giudizio e di scelta non sono sempre quelli del Vangelo, lo stile di vita non è sempre quello delle beatitudini. Perciò ai laici di AC i Vescovi italiani chiedono con insistenza di essere l’anima delle nostre comunità parrocchiali. Vi ripeto quanto il Papa Giovanni Paolo II ha scritto nel Messaggio all’Assemblea Straordinaria dell’Azione Cattolica nel settembre del 2003: «Aiutate la vostra parrocchia a riscoprire la passione per l’annuncio del Vangelo e a coltivare la sollecitudine pastorale che va in cerca di tutti per aiutare ciascuno a sperimentare la gioia dell’incontro con il Signore. Che ogni comunità, anche per la vostra presenza, brilli nei quartieri delle vostre città e dei vostri paesi come segno vivo della presenza di Gesù, Figlio di Dio che è venuto ad abitare in mezzo a noi».

Se non siete voi, cari laici di AC insieme con i vostri sacerdoti, gli artefici di una inversione di marcia che dalla sacramentalizzazione nel tempio passa alla evangelizzazione fuori dal tempio alla ricerca di quei battezzati assenti, indifferenti, scristianizzati; se non siete voi a prendervi l’impegno di annunciare il Vangelo e di promuovere integralmente gli uomini di oggi attraverso nuovi modi di vivere la Chiesa; se non siete voi a rilanciare la nuova immagine di parrocchia articolata a mo’ di ramificazione «tra  le case dei suoi figli e delle sue figlie»,[8] dando vita nei quartieri e nei condomini a vere e proprie fraternità dove la gente possa comunicarsi a vicenda la Parola di Dio ed esprimersi nel servizio e nell’amore; se non siete voi ad affrontare questa sfida, chi lo farà al posto vostro? La vostra affascinante avventura può dare vigore al volto missionario delle nostre parrocchie e della nostra Chiesa.

 

  1. … nel contesto culturale

 

E da laici - fieri di esserlo – siete mandati a testimoniare Gesù e il suo Vangelo oltre i confini delle comunità parrocchiali, in particolare nella cultura della provvisorietà che tenta di far sparire tutto ciò che sa di stabilità, di fedeltà, di continuità. Come se il “per sempre” fosse una debolezza più che una forza, fino ad inculcare, soprattutto nei giovani, la paura folle delle scelte definitive, del progettare la vita, di investire oggi in vista del futuro. Anche nella scuola questa tendenza la si avverte sempre più forte. È enorme, per esempio, la fatica nell’educare ad uno studio sistematico, continuo, che sia finalizzato a un obiettivo che vada al di là del voto. Pare che la bella espressione di una canzone di Celentano che dice: “ci sarò con te per sempre”, sembra proprio sparita dal nostro vocabolario e dal nostro modus vivendi. La vostra presenza, in siffatto contesto, può certamente incidere pedagogicamente per infondere fiducia e coraggio, capacità di donarsi e di rischiare; per educare alla responsabilità, alla coerenza, alla fedeltà, al sacrificio, al senso del dovere, all’onestà, insegnando a superare le difficoltà invece di fuggirle.

 

  1. … nella famiglia

 

Toccare i problemi della famiglia oggi è un compito particolarmente difficile. Difficile non perché questi problemi non si conoscono, ma perché non si sa come porvi rimedio. Cresce sempre di più il numero di matrimoni che finiscono in divorzio: che cosa si può fare per contenere questa situazione di fallimento? Ci sono giovani che hanno parole molto dure nei confronti delle loro famiglie: e se avessero ragione? E ci sono d’altra parte genitori che non sanno quando e come hanno fallito nell’educazione dei figli per non essere riusciti a trasmettere i valori in cui hanno creduto. I problemi, come si vede, sono tanti e complessi. Ma in quanto credenti in un Dio che non azzera mai le possibilità, più che per esasperare i motivi di tristezza siete per dilatare le ragioni della speranza. È vero sempre di più i fatti di cronaca ci dimostrano che la famiglia è in crisi, ma poi, quando intervengono i sentimenti più profondi e riemergono quei valori reali che costituiscono il suo punto di forza, veniamo subito smentiti. Prendiamo ad esempio la tragica morte dei nostri soldati a Nassyria, l’ingiusto destino dei bambini di Beslan, il dramma verificatosi nel Sud-Est Asiatico… Sono stati momenti in cui in tanti si sono stretti in un caloroso e solidale abbraccio con le famiglie delle vittime trasformandosi in un’unica grande famiglia. Il fatto che siano eventi purtroppo tragici a far emergere il nucleo familiare come vincente non è proprio il massimo ma conferma senz’altro che per accrescere il valore di questa istituzione portante della nostra società probabilmente dovremmo tutti mantenere saldi i principi di amore, fratellanza, solidarietà che regolano le nostre vite. Pertanto il vostro contributo nei confronti della famiglia si potrebbe esercitare su tre fronti:

 

-                     favorire il contatto della famiglia con la vita in tutti i suoi aspetti, quelli lieti e quelli meno lieti o addirittura angosciosi per aiutarla a non illudersi che la giovinezza, la salute, la vitalità debbano durare per sempre; che la vecchiaia sia solo per gli altri; che la morte non debba mai entrare nella propria casa; che i figli debbano diventare grandi solo sui banchi di scuola, in palestra e con la nutella. È il contatto con la complessità della vita fatta anche di fatica, di lavoro, di dovere, di incertezza di fronte al futuro, di sofferenza per tante incomprensioni che permette alla famiglia di oggi di affrontare le situazioni senza esserne travolta.

 

-                     favorire la cultura della gratuità contrapposta alla logica del tutto è dovuto. Chi si pone con meraviglia di fronte alla vita sente che tutto è dono: è dono poter respirare, vedere, salutare un nuovo giorno, pregare ed invocare Dio con il nome di Padre, contare sulla presenza delle persone che ti vogliono bene. All’interno della famiglia questo senso della gratuità  può nascere in particolare dallo stupore per la bellezza degli affetti, fino al punto di pronunciare l’uno all’altro le parole più belle che possono venire dal cuore: non meritavo di averti e ti dico grazie perché ci sei; sei un dono grande per me; quanta gioia mi dai quando godo delle tue premure…

 

-                     favorire l’intuizione che c’è un Padre che ama e vuole essere amato, Colui che è all’origine di ogni famiglia e aiuta la famiglia perché possa realizzare la propria missione nella Chiesa e nel mondo, perché possa accogliere e servire il dono della vita  in ogni suo momento e in tutte le sue forme, perché possa accompagnare la crescita di tutti i componenti, soprattutto dei figli nelle fasi più delicate.

 

  1. … nella politica

 

E da ultimo – ma solo per ragioni di tempo – non possiamo tacere il riferimento all’impegno politico come incarnazione ed espressione della fede che diventa missione d’amore. Già Pio XI aveva definito la politica come «il campo della più vasta carità». E Giovanni Paolo II più volte ha richiamato i cristiani all’obbligo di impegnarsi con senso di responsabilità nell’azione politica. E forse c’è ancora bisogno di invocare una presenza più significativa e più consistente dei cattolici in questo ambito. Certo, non si tratta di cercare attraverso la politica l’interesse personale o di gruppo o di assicurare la pura funzionalità dei meccanismi economici e produttivi, ma di concepire il potere come servizio, di valorizzare la dignità della persona umana, di prestare attenzione a chi è povero e debole, di promuovere una cultura della condivisione. Occorre una politica non dagli occhi asciutti, ma intrisa di vera umanità. Un’azione politica che si fa carico delle istanze di chi è ferito perché non abbia più ferite, di chi è povero perché non sia più disumanizzato. Una prassi politica che si attiva non solo per curare i malcapitati della nostra società, ma che soprattutto opera perché non ce ne siano più. Quando questo obiettivo diventerà prassi allora si potrà dire - secondo una felice affermazione del teologo Congar – che la fede può diventare anche politica, ma politica vera, intesa nel senso di servire l’uomo e non servirsi dell’uomo. Se poi su questo cammino il laico di AC impegnato in politica incontra altri che, pur non avendo la stessa fede religiosa, sono impegnati sugli stessi valori, non c’è che da rallegrarsi. Non abbiamo, in quanto cristiani, il monopolio dell’amore. C’è però un’interrogazione contenuta nelle prime pagine della Bibbia che corre l’obbligo di ricordare ai nostri politici: «Che hai fatto di tuo fratello?» (Gn 4,9-10), di quel fratello che rappresenti nella gestione della cosa pubblica e al quale hai assicurato tutto il tuo impegno per umanizzare la vita?

 

6. Con viva gratitudine

 

In questo contesto desidero esprimere il mio ringraziamento, unito a quello degli altri assistenti, don Mimmo Misciagna e don Fabio Tricarico, dell’Associazione e dell’intera Diocesi a tutti gli amici che in questi anni hanno profuso le proprie disponibilità di tempo e di energie impegnandosi all’interno del Consiglio diocesano e della Presidenza. Con rinnovato senso di stima e di apprezzamento ringrazio il presidente Gino Sparapano per l’intelligenza, l’amore e l’abnegazione con cui si è speso in questi sette anni a servizio dell’Azione Cattolica Diocesana. Con lui ringrazio anche gli altri amici di presidenza: Anna Vacca e Franco Paparella per il settore adulti; Lorenzo De Palma - Manuela Barbolla– Nico Visaggio per il settore giovani;  Katy Ferrante – Donato Lacedonia – Marianna Annese per l’ACR; Vito Scarimbolo per l’aspetto amministrativo; Mariella Spadavecchia per il servizio di segretaria; Tonia Angione – Nunzia di Terlizzi – Giulia Carlucci – Alfonso De Leo per il coordinamento cittadino; Enzo Zanzarella per l’Ufficio socio-politico; Francesca Abbattista – Gianni Capurso - Michele Pappagallo per l’allestimento di “filodiretto”. In essi ho potuto contemplare la generosità che dona senza contare, la gioiosa dedizione che mai si lamenta, l’umile offerta del cuore che si dimentica per piacere a Dio e ai fratelli.

Affidiamo al Signore la nuova via che l’Azione Cattolica sta per intraprendere. Egli completerà la Sua opera suscitando nuovi responsabili disposti a dire come la Vergine Maria: semplicemente, gratuitamente, coraggiosamente, concretamente e gioiosamente, SI [9].

 

Infine un grazie di cuore agli ospiti della casa di risposo che hanno condiviso con noi la preghiera e alle suore oblate di S. Benedetto che hanno permesso ciò.

Cari amici della terza età è risaputo che la nostra società si è inventata molti modi per sostituire la parola “vecchi”, ma ancora non ha saputo inventare chi sostituisca la vostra saggezza, la dolcezza della vostra comprensione, la disponibilità della vostra vita. Dateci ancora una mano. Abbiamo bisogno di voi. Il Signore benedica la vostra generosità, i vostri sforzi e il vostro eroismo.

 

                                                                                                          Don Pietro Rubini

                                                                                                          Assistente Unitario

 


[1] CONSIGLIO PERMANENTE EPISCOPALE DELLA CEI, Lettera indirizzata alla Presidenza Nazionale dell’ACI, Roma, 12 marzo 2002.

[2] AZIONE CATTOLICA ITALIANA, Progetto Formativo. Perché sia formato Cristo in voi. Roma, 2004.

[3] GIOVANNI PAOLO II, Messaggio ai partecipanti al Forum Internazionale dell’Azione Cattolica (FIAC), Settembre 2004.

[4] AZIONE CATTOLICA DIOCESANA, Storie di ordinaria santità, in Collana “Pagine per crescere” 22, Molfetta.

[5] 1 Gv 1,1-3.

[6] BIGNARDI Paola, Intervento al FIAC, Settembre 2004.

[7] CfL, 34 ma anche EN 60 e ETC 26.

[8] CfL, 26.

[9] Cf LAMBIASI Francesco, Nella costellazione del sì, in Nuova Responsabilità, Settembre 2004.