Il nostro tempo e la nostra fede

di Fabio Zavattaro

L’omelia che Benedetto XVI ha pronunciato a Friburgo, domenica 25 settembre, contiene un’affermazione che forse è passata un po’ sotto silenzio. Perché difficile da comprendere in un tempo in cui si fatica ad avere certezze. Il Papa mette in guardia il credente da una fede tiepida, distratta; una fede capace solo di fermarsi all’aspetto esteriore senza scendere nel concreto. Così commentando il brano del Vangelo del padre che manda i due figli a lavorare nella vigna, prende spunto dalle risposte dei due per ricordare che la nostra libertà è limite che il Signore mette al suo potere. Da un lato c’è il “chinarsi” del Signore che ci aiuta donandoci la sua misericordia; dall’altro ci deve essere la nostra disponibilità ad abbandonare il male, ad alzarsi dall’indifferenza e dare spazio alla sua parola: egli non ci costringe, ecco il dono della libertà, ma ci ricorda che l’esistenza cristiana è “un esserci per l’altro”.

Allora è facile comprendere che nel nostro rapporto con il Signore “non contano le parole, ma l’agire, le azioni di conversione e di fede”. Come il primo figlio, che, dopo aver risposto al padre di non aver voglia di andare a lavorare nella vigna, si alza e va. Ecco dunque l’umiltà, la disponibilità ad aprire i nostri cuori. No dunque a una fede tiepida, a una religiosità di routine, che non inquieta più l’uomo: “gli agnostici, che a motivo della questione su Dio non trovano pace” e le persone che “soffrono a causa dei nostri peccati” – come dire, persone colpite come vittime o semplicemente scandalizzate da casi come quello della pedofilia – e “hanno desiderio di un cuore puro, sono più vicini al Regno di Dio di quanto lo siano i fedeli di routine, che nella Chiesa vedono ormai soltanto l’apparato, senza che il loro cuore sia toccato dalla fede”. Frase forte difficile da accettare, se leggiamo le cose con gli occhi del nostro tempo.

Come può colui che non crede essere “più vicino” al Regno di Dio di un credente. Non si tratta di dire che tutti coloro che lavorano nella chiesa e vivono la chiesa sono lontani dal Regno di Dio. La frase detta dal Papa teologo ci pone davanti ad un interrogativo profondo: cosa abbiamo fatto della nostra fede? La chiesa, ha ricordato sempre nel suo viaggio in Germania, non è un’associazione sportiva, una sorta di club dove ci si iscrive e si frequentano i locali. La nostra appartenenza ci chiede di interrogarci continuamente sul rapporto personale con Dio, e con i nostri fratelli.

Se possiamo trovare tre parole sintesi dell’omelia del Papa a Friburgo, queste sono: libertà, umiltà e unità. La prima, la libertà, è quella concessa ai figli dal padre. Ed è alla luce di questa libertà che dobbiamo ritrovare la strada dell’umiltà, che significa abbandonarsi nelle mani del Signore: Cristo, ha ricordato Benedetto XVI, “non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini”. L’umiltà, ha ancora ricordato il Papa, “è una virtù che nel mondo di oggi e, in genere, di tutti i tempi, non gode di grande stima. Ma i discepoli del Signore sanno che questa virtù è, per così dire, l’olio che rende fecondi i processi di dialogo, possibile la collaborazione e cordiale l’unità”.

Ed ecco la terza parola: unità. È il camminare insieme, continuare ad essere sale, lievito, luce, che permetterà ai credenti in Cristo di superare sfide e difficoltà. Paolo nella lettera agli abitanti di Filippi scrive: “non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri”. Commenta il Papa: l’esistenza cristiana è un esserci per l’altro, un impegno umile per il prossimo e per il bene comune. È, ancora, un essere testimoni credibili. Questo significa anche serre disponibili alla conversione.

Bella la risposta di Madre Teresa a chi gli chiedeva quale fosse la prima cosa da cambiare nella chiesa: tu ed io. Ricorda Benedetto XVI questa frase, parlando ai cristiani impegnati nella chiesa e nella società, per dire: la chiesa non è formata soltanto dagli altri, la gerarchia, i vescovi e il Papa. La chiesa siamo tutti noi battezzati, con i nostri difetti e peccati, con la nostra libertà e umiltà; e con la disponibilità a mettersi all’ascolto e a lasciarci inquietare dalla Parola di Dio.

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