Nota del mlac in occasione della festa dell’1 maggio, San Giuseppe lavoratore

Con le famiglie un nuovo lavoro, senza le famiglie più povertà e disuguaglianza

Nota del Movimento Lavoratori di Azione Cattolica (Mlac) in occasione della festa del 1° maggio, San Giuseppe lavoratore

L’attuale scenario sociale, economico e culturale impone di interpretare come imperativo l’invito di papa Benedetto, all’impegno per uno sviluppo “volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo”, capace di coinvolgere la persona come individuo e come parte integrante della comunità dove vive ed intesse relazioni.

Il primato dell’essere sul fare, infatti, conduce ad interpretare ogni ambito sociale come l’occasione per vivere una chiamata, nella consapevolezza della necessità di esercitare la propria responsabilità nella costruzione del bene comune.

Del resto, l’attuale crisi economico finanziaria può divenire “occasione di discernimento, di nuova progettualità, di fiduciosa speranza nelle scelte che riguardano sempre più il destino dell’uomo” (Caritas in Veritate, 21)

È con questo spirito che vogliamo (ri)partire proprio dalla famiglia, guardandone non solo le difficoltà, ma anche le risorse, per cercare soluzioni rispetto al momento attuale.

La famiglia che assume la consapevolezza di non essere terminale passivo, ma soggetto-protagonista nella società, interpella le istituzioni e le comunità cristiane.

Di fatto, essa ha reagito e sta reagendo alla crisi. Paradossalmente potremmo dire: una crisi che ha fatto leva sul radicato ed esasperato individualismo ha trovato un argine nell’alleanza tra le persone che la costituiscono e che sussiste tra le generazioni.

Nel nostro sistema, lo Stato garantisce determinati servizi ed assistenze, nella taciuta e sottintesa consapevolezza che, comunque, la famiglia, in una misura certa (anche se con un apporto variabile), sostituisce o cerca di sostituire un welfare pubblico che fatica ad essere efficace.

Tuttavia, finora ha retto l’urto della crisi attingendo alle proprie disponibilità finanziarie, supplendo alle deficienze statali e garantendo una qualche stabilità economica e, quindi, sociale, relazionale etc. che, di fatto, ha consentito e consente di non sentirsi travolti.

Inevitabilmente, però, i provvedimenti adottati, capaci di reggere nel breve-medio periodo, stanno ora mostrando tutte le loro criticità, in quanto espressione più della necessità di far prontamente fronte ad un bisogno contingente, che della capacità pianificatoria di investire le proprie risorse.

Nella realtà delle mura domestiche e, spesso, nella più dignitosa riservatezza, moltissime famiglie stanno esaurendo le proprie disponibilità, con un inevitabile impoverimento economico e non solo: l’aumentato numero delle separazioni si spiega anche con la diffusa inadeguatezza della coppia di reggere alle nuove tensioni determinate dalle proprie mutate condizioni finanziarie!

Tuttavia, se la famiglia ha retto davanti alla crisi, intesa come crisi economica, deve tuttavia essere sostenuta ed aiutata per far fronte a tutte le ulteriori drammatiche implicazioni umane, sociali, valoriali e culturali, che la crisi reca con sé.

Questo implica il ruolo della comunità, dove vive ed intesse le sue relazioni, perché una famiglia matura e consapevole collabora alla costituzione del bene comune.

Assumendo tale coscienza, si potrà rivendicare una legislazione “della” famiglia, non frammentaria e “segmentata” (per l’infanzia, per i giovani, per le giovani coppie, per gli anziani, etc.) con dispendio di risorse e scarsa efficienza.

Si potrà realizzare una politica fiscale che assuma come punto di riferimento non il singolo individuo, penalizzando la famiglia perché intesa come somma di individui.

Esaltare la sua funzione di carattere socio-assistenziale e socio-sanitario: ambiti dove il servizio pubblico è spesso carente e l’iniziativa privata non è adeguatamente sostenuta.

Superare l’arcaico persistente meccanismo che impone la scelta tra lavoro e figli alla donna, finalmente vista come madre e moglie, persona e lavoratrice.

In questo scenario, un ruolo vitale può e deve essere svolto dalle associazioni, dai movimenti, dalla comunità cristiana tutta.

Il nostro, ad esempio, è un paese dove si sta registrando un preoccupante aumento del numero degli imprenditori suicidi: dietro ognuno di essi, c’è un vissuto di difficoltà economiche, ma anche di cose taciute o negate, un sistema di vita familiare che avrebbe bisogno di una comunità con cui aprirsi e dialogare, per vincere la propria solitudine.

Pertanto, se superare la crisi implica diventare più efficienti e competitivi, stabilendo nuove alleanze e partendo da esse, è necessario assumere come dato di partenza la famiglia, la sua valorizzazione e promozione.

Se la famiglia vuole diventare vero e sincero punto di riferimento per il nostro legislatore, deve prendere coscienza delle proprie potenzialità: la nuova coesione sociale da immettere nel mondo del lavoro può trovare nell’esperienza familiare impulso, coraggio ed innovazione, creando una sintonia profonda e nuova tra lavoro, produzione e risorse economico-finanziarie.




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