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Giovedì 25 aprile, ore 2024
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Palestina nell’Unesco, rischi e opportunità

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La decisione dell’Unesco – agenzia Onu – di accogliere la Palestina come stato membro può essere letta da diversi punti di vista. Immediata e dura la reazione di Israele. Il cuore del problema resta la volontà di pace delle due parti.
Antonio Martino

Ci sono notizie che sembrano delle matrioske. Contengono più fatti, o più letture di uno stesso fatto. Da due giorni la Palestina è membro dell’Unesco, l’agenzia delle Nazioni unite per l’educazione, la cultura e la scienza. La Conferenza generale ne ha deciso l’ammissione con una risoluzione adottata a maggioranza: 107 voti a favore, 52 astensioni e 14 contrari, tra i paesi presenti. Tra i contrari, oltre ad Israele, gli Stati Uniti che hanno già “minacciato” un drastico ridimensionamento dei loro finanziamenti all’agenzia. Si tratta di cifre importanti: ad oggi gli Usa coprono con 70 milioni di dollari il 20 per cento del bilancio Unesco.

Prima bambolina. C’è una nota ragione di principio alla posizione di Washington, da sempre schierata al fianco di Israele. Anche i tedeschi hanno votato contro, ma la Germania, data la sua storia, è un caso a parte. Dall’altro lato c’è il mondo a favore, quello che diventa importate ogni giorno di più, quello che detiene una parte consistente del debito americano e fra qualche giorno sarà invitato a dare una mano all’euro. Cina, Brasile, Russia, India, Turchia, Sudafrica, Indonesia. E i Paesi arabi ricchi che con i loro fondi sovrani sostengono le nostre banche, comprano imprese, investono nei disorientati mercati finanziari europei.

Seconda bambolina. Lo stato confusionale totale in cui vive la politica estera dell’Unione europea: sì la Francia, no la Germania, astenuta l’Italia (come la Gran Bretagna). Testimone, corresponsabile e partecipe da oltre 60 anni del conflitto, la vecchia Europa non è ancora capace di decidere unita quando sia più giusto stare dalla parte dei palestinesi, degli israeliani, di entrambi o di nessuno. Ancora una volta sotto le Mura di Gerusalemme si giocano anche i destini dell’Europa.

Terza bambolina. Il governo israeliano di Bibi Netanyahu sembra intenzionato a bloccare le rimesse fiscali all’Autorità palestinese di Abu Mazen; rendere ancora più dura l’occupazione militare dei Territori; isolare la Cisgiordania quanto la striscia di Gaza.

Quarta bambolina. Il voto all’Unesco è solo il primo atto. Entro la fine di novembre anche il Consiglio di sicurezza dell’Onu dovrà decidere se ammettere o meno la Palestina. Non verrà ammessa perché in caso di maggioranza dei sì, uno dei cinque membri permanenti del Consiglio può porre il veto. Cosa non prevista in sede Unesco. Gli Stati Uniti lo faranno e bloccheranno ogni cosa. La richiesta palestinese andrà allora all’Assemblea generale che voterà a grande maggioranza a suo favore. Ma l’Assemblea non ha i poteri del Consiglio: potrà solo promuovere la Palestina da “entità osservatrice” come è già a “Stato non membro”, come il Vaticano. Se accadrà questo i palestinesi avranno la loro vittoria. O forse no. Il conflitto continuerà, forse ancora più esacerbato.

Quinta bambolina. Israele prima o poi dovrà chiedersi per quanto ancora gli americani saranno in grado di difendere i suoi interessi geopolitici. Se non è tempo di cambiare strategia, se non sia giunta la stagione che da decenni tutti aspettiamo, quella della pace nel reciproco riconoscimento tra Stati sovrani. Israele e Palestina. Il mondo che all’Unesco ha votato sì alla Palestina non ha automaticamente detto no a Israele. Non è un mondo ostile. La Cina ha buoni rapporti con lo Stato ebraico, l’India li ha più che ottimi sia sul piano strategico che economico, oltre un milione dei cinque milioni di cittadini ebrei d’Israele sono di origini russe. In molte città israeliane si parla più russo che ebraico. Quello dell’Unesco può essere un passo avanti, basta volerlo.




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